La lunga notte senza luna (ultima parte)

Inizia

Il racconto di Brigida giunge al suo termine ma non le vicende della sua vita che proseguono con numerosi alti e bassi, balzi in avanti che testimoniano del suo coraggio, brusche frenate che la bloccano in pensieri fissi e ossessivi, immagini del passato che non mancano di tormentarla. Confusione, paura, incertezza continuano ad accompagnarla ma lei continua ad aggrapparsi alla speranza che la vita le regali anche qualche sorriso in più.

PASSATO, PRESENTE, FUTURO

Per fortuna, in terapia il passato non è sempre al centro dell’attenzione. Mi piace quando si parla di mio figlio, dei suoi progressi a scuola, delle cose che facciamo insieme. Il mio presente è questo, dedicarmi a lui, qualche uscita con un’amica, il lavoro in campagna, piccoli gesti che riempiono la mia quotidianità.

Certo mi piacerebbe incontrare un brav’uomo, avere una relazione, ma data la mia attrazione per le situazioni patologiche, devo stare attenta a non infilarmi in qualche altro incubo. Essermi separata è stata la cosa migliore che potessi fare per me stessa e non ho intenzione di tornare indietro!

E poi c’è lei, mia madre, un impegno non da poco, destinato, negli anni, a diventare più gravoso perché sarà sempre meno autonoma e avrà bisogno di maggiore assistenza e naturalmente toccherà a me.

Con la psicologa ultimamente stiamo affrontando proprio questo tema ed ho capito che lei, tra tutti quelli che mi hanno fatto male, è stata la “meno peggio”, non che sia stata buona con me, ancora oggi mantiene intatto il suo atteggiamento sprezzante e caparbio e me ne dà un saggio ogni giorno, ma almeno riconosco che ha tentato una qualche forma di protezione, anzi, a dire il vero, a volte provo una gran pena perché so che anche lei ha dovuto subire molte umiliazioni e maltrattamenti. Questo mi fa provare meno rabbia e, come spera la dottoressa, mi può aiutare a tollerare il suo carattere.

La verità è che starò veramente meglio solo quando morirà, troverò la mia pace, come è già accaduto con mio padre e mio zio. Da quando loro non ci sono più un senso di liberazione e alleggerimento hanno preso il posto dell’angoscia e dell’oppressione e sono delle bellissime sensazioni, mai provate prima! Talvolta, di notte, mi sveglio di soprassalto, sento i lamenti di mio padre che mi chiama, il cuore in gola, il corpo paralizzato nel letto, il sudore freddo che mi percorre tutta, poi piano piano mi calmo e realizzo che era un sogno, lui non c’è più, è tutto finito. Si! Sono contenta che sia morto, non è una cosa bella da dire, ma non posso ignorare la soddisfazione che sento nel sapere che non può più nuocere. E’ con questo spirito che mi reco al cimitero, dove i pensieri si affollano, ricordi, immagini si sovrappongono, allora la rabbia sale e devo andare via.

Qualche volta però penso alle loro storie che pure sono state drammatiche e divento un po’ più comprensiva, soltanto un po’.

La verità è che io sono figlia dell’incontro di due malati, figli, a loro volta, di due famiglie ugualmente malate, bieche ed egoiste, il cui unico valore è stato quello di salvaguardare i propri interessi, ignorando i principi di base della comune morale e non considerando la sofferenza che hanno causato.

Una parte di me appartiene a questo sistema e non posso farci niente, non posso cambiare la realtà, ma un’altra parte si augura di essere migliore di loro, di avere qualche possibilità in più, ma soprattutto la speranza che per mio figlio le cose andranno diversamente, per lui il futuro si presenta più sereno.

Si sta facendo buio, seduta sulla panchina, nell’angolo in fondo alla piazzetta costruita con pezzi di colonne e capitelli romani di questo borgo antico, guardo il sole che, tramontando, stende i suoi raggi infuocati su un mare di vetro trasparente, ravviva il giallo tufaceo delle insenature capricciose che delineano la costa, accarezza i morbidi lineamenti delle colline sullo sfondo, tinge di rosa e arancio le soffici nuvole che se ne stanno immobili nel cielo, come ad aspettare di essere inondate di luce. Magnifico! Domani sarà bello, ma prima che arrivi bisogna lasciare la scena alla notte, che per me sarà ancora lunga, una lunga notte senza luna.

IL TRATTAMENTO

Per un popolo come quello napoletano che ha costruito parte della sua identità sulla superstizione con riti e consuetudini che modellano la vita quotidiana, la morte è una questione seria, va trattata con rispetto e non si può pensare di esserle superiore. Abbiamo un detto, “Morte desiderata non viene mai”, lo ripeto a Brigida con toni un po’ scherzosi ogni volta che afferma che la morte della madre metterà fine ad ogni cosa. Forse sarà anche così, ma io la invito comunque a lavorare sulla possibilità di sviluppare maggiore autodeterminazione.

Il percorso terapeutico di Brigida è stato incostante e faticoso fin dall’inizio a causa della sua imprevedibilità. Nel corso del tempo mi sono resa conto che il comportamento della paziente oscillava da modalità sottomesse (vittimismo, dipendenza, compiacimento dell’altro) ad altre seduttive (eccessivo investimento nella terapia, bisogno di vicinanza) che appartengono ad una personalità con stile di attaccamento disorganizzato. Si tratta di una strategia di riorganizzazione della personalità finalizzata a controllare la figura di riferimento rendendola meno minacciosa e a cercare maggiore visibilità ed attenzione.

Con questa premessa, possiamo dire che il lavoro terapeutico ha attraversato varie fasi: la rivelazione degli abusi è avvenuto in un momento in cui Brigida era agitata a causa del marito che la perseguitava per cui ci si è limitati ad offrire un supporto di ascolto e contenimento. Quando la vicenda si è ridimensionata, grazie all’intervento delle Forze dell’Ordine, Brigida ha cominciato a parlare della sua vita e si è potuto tentare di esplorare gli eventi traumatici. In effetti è stato fondamentale garantirle una certa sicurezza perché, attraverso una maggiore libertà di azione e movimento, ha potuto sperimentare la capacità di prendersi cura di sé e di rassicurarsi.

Ci siamo concentrati sul passato con l’intento di rompere il silenzio, oltrepassare il muro della colpa e della vergogna, dare parola al dolore, narrare l’indicibile. Per Brigida raccontare la storia è importante, si mettono insieme i pezzi e i ricordi possono essere elaborati; certo non è detto che riuscirà a superare tutto, la psicoterapia non elimina il trauma, però può produrre significati nuovi, scoprire prospettive diverse da cui guardare i propri ricordi, magari restituirle quel sollievo e quella speranza che muovono il cambiamento.

Rosaria 1

Se per Brigida ripercorrere la propria storia traumatica non è stato né semplice né lineare, per me l’ascolto è stato altrettanto pesante. La mia resistenza ad ascoltare e metabolizzare i contenuti si è sommata e confusa con la sua, con la conseguenza di andare incontro a mancanze ed errori professionali tanto maggiori quanto più forte è l’impatto con la situazione, con l’impotenza e il dolore.

E’ stato a questo punto che ho deciso di portare questa storia alla supervisione del Master con la precisa richiesta di avere un feedback su come stavo procedendo e su quali obiettivi puntare.

In supervisione si è venuta a creare una situazione per me insolita: il gruppo, sinceramente colpito da questa donna, mi ha chiesto di scrivere una lettera a nome di tutti in cui si esprimere la grande ammirazione per il coraggio mostrato nell’affrontare tante avversità.

La consegna della lettera a Brigida ha prodotto, come effetto immediato, una profonda commozione e gratitudine perché si è sentita attraversare da una ventata di visibilità e considerazione come raramente è accaduto. A lungo termine, questo gesto, credo abbia contribuito a consolidare la fiducia della relazione terapeutica nonostante momenti di crisi e perfino di interruzione.

Da un po’ di tempo il percorso è ripreso in modo regolare, Brigida è assidua e motivata a stare meglio per se stessa e perché vuole essere una buona madre. Continuiamo a ricostruire il passato, ma in un modo diverso, meno arrabbiato. Avere uno spazio dove sentirsi ascoltati e compresi, dove poter nominare e riconoscere quello che le è successo, è un modo di esercitare un nuovo tipo di controllo, laddove, finora, il silenzio ha segnato l’unica via per dominare la paura e la vergogna. Brigida sa bene cosa vuol dire ignorare la realtà interiore, negare ostinatamente quella esterna, custodire segreti e nascondere informazioni, vede la madre fare questo ogni giorno in un lento ed incessante processo di deterioramento di un sé perennemente in guerra con il mondo, per tenere in piedi un sistema di bugie e falsità dove continuare ad illudersi. No! Brigida ha scelto la verità anche se fortemente penosa distanziandosi dalla madre e da quella fucina di inganni quale è stata la sua famiglia.

Seguendo il modello di Lewis Herman che suddivide il trattamento con le vittime di traumi in tre fasi: 1. sicurezza e stabilizzazione, 2. venire a patti con la memoria traumatica, 3. integrazione e costruzione di senso, Brigida è ancora nella seconda con brevissime incursioni nella terza. L’obiettivo è di elaborare il lutto per ciò che ha perso e soprattutto per ciò che non è stato per non doversi perdere in quella disperazione esistenziale che non ha potuto affrontare nell’infanzia.

Consapevole del fatto che la ricostruzione del trauma non sarà mai interamente completa poiché nuovi eventi potranno sempre risvegliarlo, la sfida è percepire, nominare, identificare ciò che accade dentro di sé ed imparare a padroneggiare meglio le proprie emozioni.

Rispetto alla terza fase, spero che Brigida riuscirà ad integrare l’esperienza traumatica nella sua vita, a riguadagnare la fiducia verso gli altri, ad accedere a nuove forme di coinvolgimento affettivo.

Siamo ancora lontani, però l’aver accettato che la sua storia fosse divulgata in un racconto con l’intento di “essere di aiuto a quanti hanno vissuto esperienze simile alla mia” potrebbe annunciarsi come il timido avvio di una diversa esistenza.

BIBLIOGRAFIA

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Van Der Kolk B. A., (2014), Il corpo accusa il colpo, tr. It. Raffaello Cortina Editore Milano.

Chi volesse leggere, o rileggere, la prima parte del racconto, trova il link qui.

Chi fosse interessato alla seconda parte del racconto, la trova qui.

Maria Rosaria Compagnone

Specializzata in Psicologia - Psicoterapia - Psicodiagnostica - Mediazione familiare

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