Era solo la peste: il covid di qualche anno fa

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Una delle maggiori scrittrici viventi è senza dubbio Ludmila Ulitskaya. Classe 1943, nata negli Urali, laureata in biologia all’università di Mosca, ha lavorato presso l’Istituto di Genetica, prima di dedicarsi completamente alla scrittura. E’ stata la prima donna a vincere, nel 2001, il Russian Booker prize. Sentii parlare di lei per la prima volta qualche anno fa, quando lessi che era candidata al premio Nobel per la letteratura, e decisi di avventurarmi nella lettura delle sue opere. Rimasi folgorato dal romanzo “Il sogno di Jakov”, una saga familiare che, attraverso le vicende di quattro generazioni, racconta un secolo di storia e cultura russa. Proseguii la scoperta di quest’autrice con la lettura dei suoi racconti, contenuti nelle raccolte “Tra corpo e anima” e “In quel cortile di Mosca”.

Recentemente la casa editrice “La nave di Teseo” ha pubblicato uno degli scritti giovanili della Ulitskaya, “Era solo la peste”, con la traduzione di Margherita De Michiel. L’editore presenta il libro con le seguenti parole: Nella Russia degli anni Trenta, durante il periodo staliniano, un medico sta studiando un vaccino contro la peste ma, d’improvviso, viene convocato con urgenza a Mosca. Quando la burocrazia chiama, soprattutto quella sovietica, non c’è tempo da perdere. Nella fretta di rispondere, però, si distrae e, per un attimo, senza accorgersene, viene a contatto con il pericolosissimo virus che sta studiando. Inconsapevole, si reca alla riunione con il comitato del Commissariato del popolo alla salute dove tiene la sua relazione sullo stato delle ricerche. Terminato l’incontro, però, inizia a sentirsi poco bene. Ricoverato in ospedale per quella che sembra un’influenza, solo l’intuizione del medico di guardia fa avviare la procedura di isolamento e quarantena. Scatta allora una corsa a individuare tutte le persone che sono entrate in contatto con il paziente zero prima che scoppi una pandemia. Per evitare il panico, le autorità decidono di non divulgare la vera ragione di quello che sta succedendo, d’altra parte le persone portate via senza spiegazioni dalla polizia non sono una novità in quel periodo, anche se questa volta i motivi sono diversi. Basato su eventi reali accaduti nella Russia stalinista, questo romanzo racconta con lucidità il rapporto tra politica, autoritarismo e pandemia.

Questo romanzo fu scritto come test di ammissione ai corsi di regia e sceneggiatura di Valerij Frid. La scrittura risulta perciò incalzante e diretta, come quella di un’opera teatrale; piena di ritmo, si legge senza dare pause al lettore che, come se stesse leggendo un poliziesco, non vede l’ora di sapere come va a finire. Il testo risulta quanto mai attuale, oggi che noi tutti abbiamo fatto esperienza di una pandemia e, mentre lo si legge, non si può non pensare alle similitudini con quanto da noi vissuto, ma anche alla differenza di gestione della pandemia da parte dei governi dei diversi Paesi. Da questo scritto giovanile si intravede già tutta la grandezza della scrittrice russa, che, a mio parere, troverà pieno compimento ne Il sogno di Jakov.

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