Uvaspina, il dirompente esordio di Monica Acito

Inizia

Ho trascorso la metà della mia vita lontano da Napoli, eppure la  napoletanità continua a scorrere prepotente nelle mie vene.  Ancora oggi provo un’attrazione forte per i libri ambientati a Napoli, o che hanno Napoli come co-protagonista del racconto, e così corro a leggerli appena posso. Diversi di questi si rivelano, a prima lettura, una vera e propria delusione, e bastano poche ore per dimenticarli. Dei pochi che mi colpiscono, mi piace raccontarveli nel blog, per condividere con voi il mio apprezzamento.

E’ proprio quello che farò con l’articolo di oggi, raccontandovi di un romanzo che mi ha folgorato, Uvaspina, dell’esordiente Monica Acito, pubblicato quest’anno da Bompiani. L’autrice, trentenne, cilentana, ha frequentato l’università di Napoli specializzandosi in filologia moderna, prima di trasferirsi a Torino.  L’editore descrive il romanzo con le seguenti parole: È nato con una voglia sotto l’occhio sinistro, come un pallido frutto incastonato nella pelle: Uvaspina si è abituato presto a essere chiamato con quel nome che lo identifica con la sua macchia. A quasi tutto, del resto, è capace di abituarsi: a suo padre, il notaio Pasquale Riccio, che si vergogna di lui; alla Spaiata, sua madre, che dopo aver incastrato Pasquale Riccio con le sue arti di malafemmina e chiagnazzara non si dà pace di aver perduto il proprio fascino e finge di morire ogni volta che lui esce di casa. Ma soprattutto Uvaspina è abituato a sua sorella Minuccia, abitata fin da bambina da un’energia che tiene in scacco il fratello con le sue esplosioni imprevedibili, le ripicche, la ferocia di chi sa colpire nel punto di massima fragilità, come quando gli dice: “Avevano ragione i compagni tuoi, sei veramente un femminiello.” Eppure, solo Uvaspina conosce l’innesco che rende la sorella uno strummolo, una trottola capace di ferire con la sua punta di metallo vorticante. E solo Minuccia intuisce i sogni di Uvaspina, quando lo strummolo la tiene sveglia e può scrutare i suoi finissimi lineamenti nel sonno. Intorno a loro, Napoli: la città dalle viscere ribollenti, dai quartieri protesi verso il cielo, dai tentacoli immersi in quel mare che la fronteggia e la penetra. È proprio sul confine tra la città e il mare, tra la storia e il mito, che Uvaspina incontra Antonio, il pescatore dagli occhi di colori diversi, che legge libri e non ha paura del sangue, che sa navigare fino a Procida e rimettere al mondo un criaturo che dubita di se stesso. La purezza del loro incontro, però, non potrà nascondersi a lungo nelle grotte di Palazzo Donn’Anna: la città li attira a sé, lo strummolo gira e il suo laccio unirà per sempre i loro destini. Una passione assediata dallo scherno e dallo scuorno. L’ambiguità dell’amore fraterno, la necessità dell’ombra perché ci sia luce. Infine una scrittura, quella della giovane Monica Acito, che sa inserirsi con originalità in una grande tradizione letteraria e, mescolando la forza tellurica del vernacolo alla freschezza di un racconto sulla giovinezza, invoca la fame di felicità che abita ciascuno di noi.

Uvaspina

Perché mi è piaciuto tanto questo romanzo? Le ragioni sono molteplici e proverò a spiegarle tutte, anche se diverse di queste non rappresentano la colonna portante del romanzo e a mio avviso proprio per questo ne rappresentano il valore aggiunto. Sicuramente per la lingua usata, scorrevole eppure così accurata, per la sapienza con cui l’autrice usa il dialetto all’interno delle frasi. L’uso del dialetto, così di moda negli ultimi anni, di solito mi infastidisce, ma qui la mescolanza risulta gradevole, armoniosa.

Napoli è raccontata in maniera veritiera e, per una volta tanto, esaustiva. C’è spazio per i vicoli, per la periferia, per i Campi Flegrei e per le isole, ma anche per Posillipo e per la Napoli elegante. Vengono descritti bene i contrasti di chi vive entrambe le facce di Napoli, sia di quelli che, provenienti dalla Napoli “bassa”, vivono da intrusi l’altra Napoli, che di coloro i quali, provenienti dalla Napoli “bene”, si sentono, in ogni circostanza, superiori agli altri abitanti della città.

E’ messo ben in evidenza il disagio dei protagonisti di essere ciò che sono, perché consapevoli essi stessi che, essendo quel che sono, non vengono accettati. Non mi riferisco soltanto all’orientamento sessuale del protagonista Uvaspina, ma anche alle sofferenze di sua madre, la Spaiata, donna di Forcella, che non viene accettata dagli amici e parenti del marito, che spesso viene respinta dal marito stesso e disprezzata da sua figlia. Esempi analoghi si possono fare per gli altri protagonisti del romanzo.

In questo romanzo si racconta la povertà, cosa rara tra gli autori italiani contemporanei. Non solo la povertà della Spaiata e della sua famiglia, ma anche la povertà di Antonio e della sua famiglia. Senza fronzoli, senza pudori, la povertà fa parte della vita e come tale ci è raccontata.

Quasi tutti i personaggi del romanzo sono ben caratterizzati psicologicamente, non solo il protagonista. Il mio preferito? Antonio. E molto ben descritti sono i rapporti interpersonali, le emozioni, le incomprensioni. E l’amore tra i vari personaggi, talvolta esplicito, talvolta nascosto, talvolta malato, talvolta puro. Le pagine più belle, per me pura poesia, sono a mio parere quelle che descrivono la madre di Antonio, l’Acquajola, e il suo rapporto col figlio.

Insomma un romanzo completo, Uvaspina. Doloroso, come dolorosa sa essere la vita quotidiana, come dolorosi sanno essere quei macigni inflitti su di noi da coloro ch ci circondano. Eppure il romanzo non risulta angosciante, grazie allo stile di scrittura dell’autrice, che ci ricorda quanto sia naturale quel fardello che i protagonisti portano ogni giorno sulle loro spalle.

Un esordio notevole, questo di Monica Acito. Leggerò sicuramente volentieri le sue prossime opere.  

3 Comments

  1. Lèggerò sicuramente questo libro, la tua bellissima recensione ha suscitato la mia curiosità per questo romanzo di esordio.

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