Ci sono libri che, una volta letti, non si dimenticano ma restano dentro di noi, intrufolandosi sotto pelle e penetrando fino all’anima. Molti di questi libri sono dei classici della letteratura, dei quali non è appropriato parlare qui, essendoci in giro studi approfonditi da parte di professori e critici competenti; ci sono però dei piccoli libri che possono avere dentro di noi lo stesso effetto dirompente, libri di cui si parla poco e perciò è appropriato raccontarne qui.
Il libro che vorrei proporvi, letto qualche mese fa, è Piccoli mondi, del giovane scrittore Caleb Azumah Nelson, pubblicato dall’editore Atlantide con la traduzione di Anna Mioni. L’editore ci descrive il libro con queste parole: L’ unica cosa in cui Stephen riesce a riconoscersi davvero è la musica. Danzerebbe ovunque: in chiesa con i suoi genitori e suo fratello Raymond, con i compagni di sempre in qualche scantinato, con la sua migliore amica Adeline mentre scoprono insieme i sentimenti che provano l’uno per l’altra, o da solo, ascoltando vecchi dischi di un padre che vorrebbe capire meglio, conoscere veramente. Suonerebbe poi tutto il giorno: la tromba è per lui il modo migliore di raccontarsi, esprimere emozioni precluse alle parole. Ma cosa resterà quando la musica sarà finita, la situazione in casa peggiorerà e Stephen si troverà a percorrere la distanza che separa Londra dal Ghana? Con una lingua melodiosa, fatta di variazioni e ritornelli come un’improvvisazione jazz, Caleb Azumah Nelson racconta tre estati del protagonista e ci fa dono di una storia incantevole sui mondi e le comunità che costruiamo per sentirci liberi, sul rapporto tra padri e figli, e sull’educazione di un giovane uomo in cerca del proprio posto nell’universo. Salutato unanimemente come la conferma del talento di un autore dall’immensa maturità artistica, Piccoli mondi è un romanzo luminoso e coinvolgente sui legami che ci segnano e i luoghi che ci formano, sul coraggio di seguire le nostre passioni per diventare chi siamo realmente.
Eppure questa descrizione, così vera, finisce per essere riduttiva perché, in meno di trecento pagine, questo libro contiene tanti piccoli mondi, mondi che sono, o sono stati, anche i nostri. La musica è protagonista, è vero, e fin dalla lingua, giustamente definita melodiosa, il romanzo si presenta come un romanzo musicale. Ma la musica ci fa viaggiare oltre e ci mette di fronte a temi universali, quali la scoperta dell’amore, che faranno sicuramente battere il cuore ai giovani lettori, e sospirare di nostalgia, o semplicemente di tenerezza, i lettori più maturi. Si affronta il tema del rapporto genitori-figli, per scoprire che spesso i figli colgono molto di più di quanto i genitori pensino; questo tema è affrontato all’interno di un tema più ampio, quello della migrazione; l’autore riesce a descrivere perfettamente il senso di spaesamento della seconda generazione, che non appartiene più al Paese di origine dei genitori, e non appartiene ancora, o almeno non del tutto, al Paese in cui è nata. Non è da trascurare la descrizione del rapporto tra fratelli, così diversi e così uniti. E, per ultimo, mi preme sottolineare che Piccoli mondi è, anche, un romanzo di formazione.
Insomma, un romanzo che è tanti romanzi, una storia complessa, in cui ciascun lettore troverà almeno un pezzettino della sua storia personale. Piccoli mondi è il regalo di Natale perfetto.
Diffondiamo
Grazie Maurizio, cerco di leggerlo in tempo per i regali di Natale!
Bella recensione, buon spunto, chissà se a Port’alba già ce l’anno…
Sono in Metro destinazione Dante!
Lo hai trovato? Io lo regalo agli amici per Natale