Fin da bambino, avrei voluto sempre visitare la Russia, che allora si chiamava URSS, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Era questo il desiderio anche dei miei genitori e così, nel 1988, provammo a realizzare questo sogno. Il processo burocratico era lungo, ci vennero richieste fotografie in bianco e nero per il rilascio dei passaporti, tempi biblici per l’ottenimento degli stessi e poi, quando finalmente ne entrammo in possesso, le frontiere furono chiuse e il viaggio annullato, causa perestroika. Nel 2000, il CRAL dell’azienda presso cui lavoravo allora organizzò un viaggio a Mosca, cinque giorni in città in occasione del 1 maggio. Decisi di partecipare, e con me mio fratello, ma purtroppo il viaggio fu annullato all’ultimo momento, e così ripiegammo su Praga.
Avevo quasi considerato irrealizzabile una mia visita in Russia, quando nel 2017 mi fu data una responsabilità lavorativa che riguardava la Russia, e così ho cominciato a visitare il Paese per circa tre settimane l’anno. La pandemia prima, la guerra poi, non hanno reso possibili, per il momento, ulteriori visite, e così mi ritrovo ora a provare un’immensa nostalgia per quei luoghi e per quelle persone. Siccome i miei viaggi di lavoro duravano più di una settimana, dedicavo i weekend al turismo, alla scoperta di Mosca in particolare. Ora i ricordi dei diversi viaggi si sovrappongono, fino a costituire un unicum nella mia mente. Oltre ai diversi luoghi, resta impressa nell’anima l’ospitalità della gente, in primis quella dei miei colleghi, di tutti gli stabilimenti, ma anche delle persone che, più o meno per caso, ho conosciuto. Con diverse di queste sono ancora in contatto.

Ricordo ancora l’arrivo a Mosca, a marzo del 2017, con il mio visto sul passaporto scritto in cirillico. All’aeroporto, nessuno degli ufficiali addetti al controllo sorrideva, ma mi auguravano con trasporto buona permanenza (mi sarà poi spiegato che ai pubblici ufficiali è proibito sorridere). All’uscita mi aspettava il tassista Maxim, che mi avrebbe poi accompagnato in diversi altri viaggi, per portarmi in hotel in centro, dove avrei trascorso la notte, prima di partire per Vladimir. La mattina dopo ritrovo Maxim che mi porta alla stazione ferroviaria, dove mi aspetta una collega locale, per fare il viaggio insieme. Mi colpisce il fatto che per entrare in stazione venga controllato il passaporto. All’uscita dell’hotel mi aveva colpito il fatto che l’hotel mi aveva rilasciato una sorta di certificato di soggiorno, da consegnare alle autorità al momento dell’espatrio. Sarà così ogni volta, in tutti gli hotel.

Poco più di due ore di treno e siamo a Vladimir, dove ci rechiamo direttamente al lavoro. Finita la giornata lavorativa, si va in albergo per una doccia ristoratrice che mitighi un po’ il freddo polare, e poi a ristorante, in centro, per una cena che i colleghi hanno organizzato in mio onore. Si comincia con una zuppa di pesce di lago della Siberia, squisita, per poi passare a un filetto dello stesso pesce, con nocciole. Dopo cena, mi si propone una visita, dall’esterno, al Cremlino di Vladimir. Io ne farei volentieri a meno, la temperatura è abbondantemente sotto lo zero, ma il Cremlino è sulla strada del ritorno. L’architettura è splendida, ora sono contento di essermi lasciato convincere a fare questa passeggiata. Avrò modo di visitare l’interno qualche giorno dopo, prima di partire per Ramenskoye, per lavorare nel successivo stabilimento.

All’arrivo a Ramenskoye mi attende una piccola disavventura. Arrivo in albergo alle dieci di sera, dopo circa quattro ore di auto, sotto la neve. I colleghi mi spiegano che non troverò la reception all’ingresso ma, trattandosi di un albergo ex sovietico, direttamente al piano. Prendo perciò l’ascensore e vado al primo piano, ma è deserto. Riprendo l’ascensore e mi reco al secondo, dove trovo dei giovani in canottiera che stanno imbiancando. Mi dicono qualcosa, in russo, ma non capisco. Salgo al terzo piano, ma è deserto. Al quarto piano trovo una signora di mezza età alla reception. Non riusciamo a comunicare, parla solo russo. Mi dà le chiavi della stanza, la 404 (non l’ho più dimenticato) e insieme il menu della colazione, con 3 opzioni, e mi fa capire che devo ordinare. Io ho fame e vorrei cenare, allora chiedo “Dinner?”, lei mi risponde “Breakfast!”. Io riprovo con “Dinner?” E lei sempre più netta “Breakfast”. Mi arrendo all’evidenza: si va a letto senza cena, allora scelgo dal menu l’opzione più ricca, quella che include la salsiccia, che normalmente mai mangerei a colazione. Con il dito sull’orologio mi fa capire che devo dirle l’orario in cui vorrei mangiare. Dico le 7, anche se lascerò l’albergo solo alle 8.30. Fissata la colazione, la signora mi prende per mano e mi conduce in camera dove, miracolo, mi mostra il minibar. Allora mangerò qualcosa stasera! Mi avvento su tutto quello che c’è di commestibile: patatine, salatini, e bevo una coca-cola. Purtroppo non c’è nessuna connessione a internet. Vado a letto, ma la stanza è caldissima. Apro allora la finestra, ma dopo poco si gela. Nessuna possibilità di regolare la temperatura dei termosifoni. L’unica soluzione è quella di dormire nudo. Il massimo dell’assurdo accade però la mattina dopo. Non sapendo come spiegare ciò che avevo mangiato, mi presento alla reception con tutti gli imballaggi del cibo consumato, e la lattina vuota. Trovo la stessa signora della sera precedente. Ciò che pago equivale a meno di 1 euro. Mi reco finalmente a ristorante per la colazione; si trova al secondo piano, dove ci sono i lavori in corso. La signora mi fa entrare dall’uscita di emergenza. Mi ritrovo in una sala immensa, deserta alle 7 del mattino, con un giovane cameriere in smoking che… Parla inglese!

Finita la settimana lavorativa, torno a Mosca, stavolta da turista. L’albergo è lo stesso dell’arrivo, in centro, non distante dal teatro Bolshoi. Anche se è venerdì sera tardi e fa freddo, non resisto: devo fare una piccola passeggiata. Mi reco nella Piazza Rossa, e comincio a percepire la bellezza e l’unicità del luogo. Ma sarà l’indomani mattina, con il sole, che mi renderò conto della maestosità e del fascino di questa città. Viali immensi, alberati, tantissima gente in giro. Trascorro l’intera giornata visitando il Cremlino: quanta ricchezza, quanto splendore! Il giorno dopo, tra le altre cose, visiterò la cattedrale di San Basilio. Mentre sono lì, alcuni uomini intonano canti religiosi a cappella, trasmettendo emozioni uniche.

Nei viaggi successivi approfondirò la conoscenza di questa città, visitando altri musei, quali il museo storico di stato, i centri commerciali, primi fra tutti i magazzini Gum, che chiaramente non sono più quelli dell’Unione sovietica, mi metterò pazientemente in fila per il mausoleo di Lenin, in estate trascorrerò il tempo nei parchi, scoprirò tante chiese, tra le quali la cattedrale del Cristo salvatore. Mi spingerò sempre più lontano dal centro, anche grazie a Dima, un giovane che incontrai la prima volta per farmi aiutare a scoprire la città e che poi è diventato un mio buon amico, tanto da essere stato ospite a casa mia a Horgen e con il quale, in uno degli ultimi viaggi, sono andato a visitare musei di arte moderna e il museo ebraico.


Durante il mio secondo viaggio mi capitò un’esperienza simpatica in aereo. Avevo scelto, come al solito, un posto di corridoio, e come al solito stavo leggendo un libro, ma la mia vicina di posto non era d’accordo, sentiva proprio il bisogno di parlare con me. Era seduta nel posto di mezzo, e col suo chiacchierare è riuscita a coinvolgere anche il passeggero seduto accanto al finestrino, tanto che, al momento di “gustare il lauto pranzo”, terminammo con un brindisi. Il nome della signora è Galina, della mia stessa età, nonna di Timur. Siamo ancora in contatto per gli auguri di buon anno, di buon 1 maggio, e anche per quelli di Natale, anche se leggermente in differita, dal momento che il Natale ortodosso si celebra il 7 gennaio.

Fu durante il secondo viaggio che visitai per la prima volta il teatro Bolshoi, il secondo teatro più antico del mondo dopo il San Carlo di Napoli. Decisi all’ultimo momento di comprare un biglietto, lo presi tramite l’hotel pagandolo uno sproposito e finii in piccionaia, ma respirai da subito la storia , l’arte, la musica, quelle stesse sensazioni provate visitando il San Carlo. Lo spettacolo in programma era un balletto, “Anna Karenina”, superlativo. Dopo il weekend, raccontai ai colleghi la mia esperienza; mi confermarono che il costo elevato era dovuto all’acquisto dell’ultimo minuto, e si offrirono di comprare, in futuro, il biglietto per mio conto, al momento della prenotazione del viaggio. Così facemmo per ben due volte e la seconda volta assistei allo spettacolo… Anna Karenina! Ma stavolta, per fortuna, comodamente seduto in poltrona. L’ultimo (per ora) mio spettacolo al Bolshoi fu Traviata, la più bella versione che abbia mai visto dal vivo.

Durante il mio viaggio invernale del 2019, non riuscii a trovare posto nel solito hotel. Trovai una camera in un altro hotel della stessa catena, che si trovava a qualche chilometro di distanza dal Cremlino e dalla piazza Rossa. Di fronte a quest’hotel c’era un museo a me sconosciuto, quello di storia moderna dell’Unione sovietica. Non avevo particolare intenzione di visitarlo, ma il sabato mattina, oltre a fare molto freddo, nevicava, e così decisi di andare. Il museo era quasi deserto, e mi aggiravo solitario tra le varie sale. All’ingresso di ogni sala c’era una spiegazione in inglese, ma poi all’interno le spiegazioni erano solo in russo. In una delle sale c’erano dei quadri di Roma antica e di Tivoli e non riuscivo a capire il perché. Provai a chiederlo alla custode, ma purtroppo non parlava inglese. Provai a chiederlo allora all’unico altro visitatore della sala, un giovane uomo. Mi disse che parlava poco inglese, così cominciò a scrivere messaggi Whatsapp alla moglie per farsi aiutare. In realtà il suo inglese era più che sufficiente per comunicare. Lo ringraziai, continuai la mia visita e lui la sua; inevitabilmente ci incrociavamo in quasi ogni sala, e così cominciammo a chiacchierare. Mi raccontò che veniva dalla Siberia e si trovava a Mosca per turismo. Finita la visita, decidemmo di andare in centro insieme a mangiare qualcosa e continuammo a parlare. Anton, questo il suo nome, mi raccontò del suo lavoro, di sua moglie, delle sue figlie, del fatto che aveva deciso di cambiare lavoro e lanciare il turismo nella sua regione. Mi mostrò delle immagini stupende del lago Baikal, invitandomi a visitare la sua regione, naturalmente d’estate (cosa che farò appena possibile). Anton è l’autore di tutte le foto presenti in questo articolo. Viaggia non solo per lavoro, ma anche per piacere, alla scoperta della Russia, e ha già visitato 58 delle 89 regioni. Se visitate il suo profilo Instagram (account @peregovorshik) scoprirete anche voi le bellezze di questo Paese, e chissà, un giorno chiederete ad Anton di organizzarvi un viaggio nella regione del lago Baikal.

Ciò che provo al momento è nostalgia, dei luoghi, delle persone, dell’ospitalità unica. Nostalgie di eventi passati e di luoghi futuri, nostalgia del lago Baikal che ancora non ho visitato. Speriamo che i tempi divengano presto meno duri.

caro Maurizio hai una capacità nel raccontare i tuoi viaggi da far sognare coloro che conoscono l’importanza, la bellezza di poter viaggiare. Visitare paesi sconosciuti, conoscere e apprezzare altre culture, agganciare nuove amicizie. Grazie amico mio.
Bellissimo racconto. Proprio quello che piace a me.
Che spettacolo