Bucarest: polvere e sangue

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Una città che amo tantissimo, sicuramente tra le prime nel mio cuore, è Bucarest. Non è facile spiegare il perché; non è certo la città più bella che ho visitato, non contiene alcuna delle meraviglie del mondo, eppure lascia tracce indelebili ogni volta che ci vado, e, quando sono lontano, sento forte il desiderio di tornarci.

Prova le mie stesse sensazioni la scrittrice e saggista polacca Margo Rejmer, che ha vissuto per diversi periodi in questa città e ne ha raccontato in un libro del 2013, pubblicato recentemente da Keller, con il titolo di Bucarest – Polvere e sangue e la traduzione di Marco Vanchetti. Nelle prime pagine di questo saggio, l’autrice descrive il suo rapporto con la città così: Per me Bucarest è viscerale, istintiva e priva di logica. E’ come l’acqua che bolle e come quella di una cascata, violenta, agitata e torbida. E poi: Percepisco Bucarest come il lato subcosciente della mia natura, ma voglio di più, la voglio anche capire. Ecco, quello che io non riesco a spiegare riguardo alle mie emozioni per questa città è descritto esattamente dall’autrice, con queste poche parole, all’inizio del libro (siamo appena a pagina 10).

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La Rejmer scrive un saggio in cui racconta non solo la storia della città, con particolare focus su ciò che è accaduto prima e dopo la caduta del comunismo, ma anche le sue esperienze di abitante e le sue interazioni con le persone del luogo. La sezione “Comunismo, oro e fango”, non può prescindere da Ceausescu e dalle sue atrocità. L’autrice riporta tantissime testimonianze di persone che hanno vissuto in prima persona quel periodo, e che hanno subito tutte le atrocità immaginabili. Accanto a fatti che conoscevo, ne ho scoperti di nuovi, come ad esempio il decreto sul divieto di aborto di fine anni ’60. Il decreto comportò l’aumento degli aborti clandestini, e delle morti per tentato aborto. I preservativi erano illegali, ed erano anche il regalo più apprezzato quando si riusciva a riceverli clandestinamente. Nonostante tutto ciò, l’autrice si trova regolarmente a parlare con persone, di tutte le generazioni, che ancora oggi considerano Ceausescu un eroe.

Nella seconda sezione, “Fra le due guerre. L’occhio e la lama”, la scrittrice racconta lo sviluppo di xenofobia e antisemitismo nel Paese. Tra le altre cose, racconta le deportazioni e le uccisioni di diverse migliaia di ebrei, e ricorda le parole di Antonescu. “Aspiro a una politica di pulizia della razza rumena e niente mi fermerà dal compiere questo storico mandato della nostra nazione. Se non approfittiamo della situazione in cui attualmente versa la scena internazionale, sprecheremo l’ultima occasione che la storia ci offre. Non la voglio perdere per non attirarmi il biasimo delle generazioni future”. Antonescu fu fucilato nel 1947 per crimini di guerra, ma da alcuni continua a essere considerato un eroe.

Nell’ultima sezione, “Contemporaneità. Ordine e disorientamento”, l’autrice ci racconta della Bucarest di oggi, e, partendo dalle sue esperienze sul campo, ci fa conoscere un po’ di più della popolazione rumena. Ci riporta i numerosi proverbi rumeni; uno in particolare mi è rimasto impresso, perché recita così: “Un grande dolore si cura con un dolore maggiore”, cinico ma vero. Le avventure in taxi, le conoscenze che si fanno viaggiando in treno, i racconti sui cani randagi valgono, da sole, la lettura del libro. Divertenti le considerazioni della Rejmer sul cinema rumeno: “In Romania si spaccia per commedia nera quello che in tutti gli altri Paesi passerebbe per dramma sociale”.

Il libro si conclude con la frase che dico tra me ogni volta che penso a Bucarest: “Tra poco ci torno di nuovo”.

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