E’ un periodo, questo, ad alto tasso di stress, lavorativo e non solo; niente di nuovo, ho già vissuto periodi simili, ma allo stesso tempo questo livello di stress è diverso: sembra che stiamo tutti ad aspettare Godot, che chissà quando arriva, se arriva. Come curare allora questo momento di incertezza? Con un bel weekend di relax, da trascorrere con un amico, conosciuto quasi dieci anni fa sul lavoro, che non vedo da cinque. Non so se il mio amico apprezzerebbe essere citato in questo articolo e allora, per stare sul sicuro, lo chiamerò con una lettera dell’alfabeto, Z, per tutto il resto dell’articolo. Z è un amico diverso dagli altri amici che ho, per una serie di motivi: pur essendoci conosciuti sul lavoro, non è il lavoro che ci accomuna, ma una serie di altri valori; a differenza degli altri miei amici, che sono tutti più o meno coetanei o, se non lo sono, sono più grandi di me, Z ha quarant’anni, ben dieci in meno di me. La nostra amicizia si è consolidata dopo che Z ha smesso di lavorare con me e, negli anni della pandemia, si è cementata grazie a continui messaggi e a telefonate regolari. Incredibile a dirsi, ci conosciamo abbastanza bene, pur essendoci frequentati poco.
Z mi chiede di andare a Napoli e di fargli da cicerone, di portarlo alla scoperta della mia città, che già ama grazie a ciò che ha visto in TV (la serie Gomorra in particolare). L’idea mi attrae, ma io non posso stare a Napoli per soli due giorni, ho bisogno di almeno una settimana, da dedicare non solo alla mia città, ma anche ai miei parenti, ai miei amici, e a un’immancabile visita al cimitero. Non posso prendere più di un weekend di pausa in questo momento, e allora faccio la mia controproposta, Vienna, città non distante dal luogo in cui Z, ungherese, vive. Potremo così incontrarci il venerdì sera dopo il lavoro, e andare in giro fino alla domenica. Z accetta con piacere.
E’ la mia terza volta a Vienna, dopo il capodanno 1987 con i miei genitori e mio fratello, e dopo un weekend nel 2012 con la mia amica P, anche in quel caso organizzato per scaricare lo stress. Prenoto lo stesso albergo del 2012, in pieno centro, per essere vicino ai monumenti principali. Prenoto la stanza, ma non la colazione, che mi sembra cara per quello che mangerei io; non so se Z faccia una colazione abbondante, ma troveremo sicuramente un luogo dove mangiare. Io atterro alle 17, non mi va di prendere i mezzi pubblici per arrivare in hotel e così prendo un taxi. L’autista è austriaco di origini turche, nato e cresciuto a Vienna. Mi racconta di come si vive in Austria, delle sfide che un figlio di emigranti deve affrontare, della figlia ventunenne, il suo orgoglio, che studia lingue all’università.
Arrivato in albergo, prendo possesso della stanza, al sesto piano. Z arriverà fra qualche ora, è appena uscito dal lavoro. Decido allora di fare una prima passeggiata da solo, nell’attesa. Cammino senza meta, partendo dalla cattedrale di Santo Stefano; nel frattempo scende la sera, e con essa tornano i ricordi della mia prima volta qui. Era freddo freddissimo, o almeno così mi pareva. Mia madre ci teneva tantissimo a fare quel viaggio, io molto meno e, da vero adolescente, mi ribellavo, non volevo essere lì. Lungo gli ampi viali, questa città ritorna a essere mia, e penso con tenerezza al Maurizio di fine 1986, che questa città non voleva proprio amarla. Ritorno in albergo e, nell’attesa di Z, mi metto a chiacchierare con il giovane impiegato dell’hotel, Richard. Il suo tedesco è perfetto, ma l’accento non è austriaco. Gli chiedo da dove venga, scoprendo così che è slovacco, ma vive a Vienna da tanti anni.
Z arriva all’improvviso, ci abbracciamo a lungo. Eccomi di nuovo a passeggiare, stavolta con Z, alla ricerca di un luogo dove mangiare un boccone senza appesantirci, è già tardi per una cena ricca. Chiacchieriamo, chiacchieriamo, chiacchieriamo, soprattutto dell’ultima settimana, di quello che ci è successo dall’ultima telefonata in poi. Riprendiamo a passeggiare, e questi viali diventano la mia madeleine, riportandomi ancora una volta a quel viaggio di capodanno. Ricordo che, per contestare il viaggio, dicevo a mia madre che questa città era troppo perfetta (c’erano addirittura i riscaldamenti nelle chiese, che a un ragazzino napoletano degli anni ’80 sembrava fantascienza), che stavamo visitando una città adatta ai vecchi come lei. Mi rendo conto che, allora, mia madre aveva quarant’anni, cioè dieci anni meno di me adesso, e non posso fare a meno di sorridere; anche adesso penso che Vienna sia una città per persone, se non proprio vecchie, mature come me. A me Vienna piace, adesso.
La mattina dopo la città ci accoglie con un bel sole; compriamo da mangiare in un supermercato e facciamo colazione su una panchina non lontano dall’albergo. Z mi propone poi di andare in Ungheria, a Sopron, mi vuole mostrare la sua terra. Sono onorato, accetto. Una volta arrivati, mi propone una passeggiata nei boschi, prima di visitare il centro antico della cittadina. Il cielo è grigio, c’è molto vento, e perciò ci sono poche persone in giro. Cominciamo a parlare di noi, a raccontarci, ad ascoltare, e faremo questo per tutto il resto del weekend. Affrontiamo temi profondi, quali gli amori passati, la ragazza che Z sta frequentando e il desiderio di costruirsi una famiglia, confrontandolo con la mia “singletudine”, che non vuol dire che non desideri l’amore, ma sicuramente non voglio una convivenza. Parliamo della sua religiosità, e del mio ateismo, delle nostre infanzie, ormai passato remoto, e dei cartoni animati che guardavamo allora; scopro così che nell’Ungheria comunista i bambini non guardavano Lady Oscar. Parliamo di sesso, ma anche di storia dei nostri Paesi e cerchiamo di capire perché siamo come siamo. Oh, non parliamo solo di cose serie. Z è un grande imitatore: sa parlare in tedesco con accento russo, arabo, ma è il suo “schweizerdeutsch” a essere insuperabile. Mi chiede di insegnargli a parlare con le mani e io comincio insegnandogli i gesti basilari, ma poi mi ricordo di un metodo insuperabile: fargli vedere, e ascoltare, l’Italian Hand Gestures Rap; Z impara immediatamente. Per pranzo ci fermiamo lungo la strada, in una “csarda”, trattoria tradizionale, e Z mi fa assaggiare una tipica zuppa di pesce ungherese, gustosissima e rigenerante.
Rientrati a Vienna, ci rechiamo a visitare la cattedrale di Santo Stefano, unica. Nonostante i numerosi visitatori, si riesce comunque a stare in intimità. Per la cena prenoto in un ristorante tipico così, dopo la cucina ungherese, gustiamo anche quella viennese. Riprendiamo a camminare, vaghiamo chiacchierando. Ci ritroviamo così in Kohlmarkt, di fronte alla storica pasticceria Demel, ed eccomi tornare di colpo al 1986: mia madre, che oltre alla lingua italiana parlava solo quella napoletana, aveva letto di questa pasticceria ma non riusciva a trovare la via. Mentre camminavamo in centro passò una signora con la borsa di Demel e mia madre, senza emettere suono ma solo con i gesti, riuscì a farsi spiegare dalla signora dove fosse la pasticceria.
Ovviamente la pasticceria di sabato sera è chiusa, così propongo a Z di tornare l’indomani mattina per la colazione. Rientrando in albergo, ci fermiamo a bere un drink, e verso le 22 torniamo in camera. Il giovane Z si scusa, gli sembra disdicevole essere a letto così presto di sabato sera, si vergogna quasi di essere stanco, nonostante oggi abbiamo percorso decine di chilometri. Maurizio invece è soddisfatto, molto soddisfatto di questa giornata così particolare.
Anche domenica mattina la città ci accoglie con un sole caldo, è piacevole stare qui. La città è ancora addormentata, ci rechiamo nella cattedrale di Santo Stefano ancora vuota di turisti; c’è una messa in corso, molti pregano. Io visito la chiesa, non posso non soffermarmi sui mendicanti, alcuni dormono all’interno della chiesa. Lascio loro qualche spicciolo che spero li aiuterà, la solita elemosina per lavarsi la propria coscienza sporca, ma meglio di niente. Mi colpisce, in un angolo della chiesa, il ritratto di santa Teresa del bambino Gesù. Mia madre prese il suo nome da questa santa. Anche nelle mie visite precedenti ero stato in cattedrale, eppure questo ritratto non lo ricordavo. Usciti dalla chiesa, è ancora presto per far colazione da Demel, che apre alle 10, e così passeggiamo, visitiamo un’altra chiesa in centro, l’architettura ha uno stile barocco. Arriviamo da Demel cinque minuti dopo le dieci e ci tocca metterci in coda, il locale è già pieno. Dopo diversi minuti ci accompagnano al tavolo, al primo piano, esattamente come nel 2012, quando avevo fatto colazione con P. E’ arrivato per me il momento di gustare nuovamente la torta Sacher, specialità della casa, accompagnata da un buon espresso.
Dopo colazione, riprendiamo la nostra passeggiata, perdendoci tra palazzi, musei, teatro dell’opera, monumenti… Così piacevole passeggiare sotto il sole, così intensa questa condivisione, questo raccontarsi e ascoltare allo stesso tempo. Continuiamo a parlare di tutto, dalla politica a Bella ciao, della quale racconto a Z la nascita come canto delle mondine e poi la sua evoluzione a canzone della Resistenza.
Si è fatto pomeriggio, prima di passare per l’hotel a ritirare la valigia e ripartire, ci ritroviamo fuori dalla cattedrale di Santo Stefano. Un gruppo di ucraini espone le fotografie della guerra: corpi massacrati, bambini in lacrime ci riportano immediatamente alla realtà. Non ci sono parole, solo dolore. Restiamo a parlare con alcuni di loro, anche se non abbiamo niente di sensato da dire.
Riprendiamo la valigia e Z mi accompagna in aeroporto, è stato un bellissimo weekend: intenso, sincero, profondo. Ci abbracciamo a lungo prima di separarci. Ora sono qui in aeroporto, e nell’attesa di partire prendo appunti e brindo. Brindo a Z, brindo alle amicizie solide e sincere, brindo a me. E naturalmente brindo a Vienna, la mia madeleine…
Bello! Un misto di dolcezza (anche una bella Sacher dev’essere non poco appagante!) e di malinconia … 😉
Sei unico ❤️
Anche tu. Un abbraccio
I tuoi racconti di viaggio e di vita sono quelli che preferisco. Ottima la chiusura.
Grazie Maurizio! L’amicizia ha un significato più profondo che mai.
Che finale bello e commovente.
Così felice di saperti felice.
Una bella amicizia e una bella esperienza. Raramente (se non mai) sento uomini parlare dell’amicizia in questo modo.
E fa bene sentirlo.
Grazie per proporre una prospettiva dell’amicizia tra uomini che non sento raccontare altrimenti.
In realtà sono più frequenti di quanto non si creda, ma per qualche motivo non se ne parla
Come spesso ti dico, è come essere stato con te
GRAZIE MAURIZIO