I baobab innamorati del Madagascar

Inizia

Dopo tanti anni, credo di poter affermare che il mal d’Africa sia una malattia, e che io ne soffra. L’unica cura che ho trovato finora è quella di viaggiare ogni volta che posso. E così, a marzo di quest’anno, ho visitato per la prima volta il Madagascar. Sono partito quando la stagione turistica non era ancora cominciata e così ho costruito un itinerario individuale grazie ad African Explorer, tour operator con cui avevo già viaggiato in passato, una garanzia per i viaggi di qualità. Organizziamo in modo da avere una guida che parli italiano, oltre all’autista. Parto da Zurigo, volo notturno per Addis Abeba, dove, il mattino seguente, cambio per Antananarivo. Anche se la stagione turistica non è ancora cominciata, sono diversi gli italiani che si recano in Madagascar: incontro degli anziani medici veneti che vanno a fare volontariato, e delle giovani farmaciste torinesi, che riescono ad essere bellissime anche dopo una notte di viaggio. Il secondo volo è movimentato dalla presenza della nazionale di calcio della Repubblica Centrafricana, che si stanno recando in Madagascar per giocarsi le qualificazioni ai prossimi campionati africani; al di là della divisa della nazionale, si tratta di ragazzoni altissimi che non passano inosservati. All’arrivo, compro la marca da bollo per il mio visto da una gentile signorina e poi mi metto in fila per il controllo passaporti con la polizia. Mi riceve un poliziotto giovane, gentile, che mi parla in francese. Quando gli spiego che non parlo francese, mi chiede come sia possibile, dal momento che sono svizzero. Mi tocca spiegare che, in un Paese così piccolo, si parlano tante lingue diverse. Dopo aver apposto il visto sul mio passaporto, mi chiede, in una maniera molto gentile, di fargli un regalo. All’inizio non capisco, dal momento che lui sussurra appena, poi resto perplesso. Il poliziotto se ne accorge e mi invita a seguirlo poco lontano, dove c’è un gruppo di colleghi che sorridono, e mi ripete la richiesta. Non ho più dubbi e gli regalo 5 euro. Ci resto male però, per la situazione spiacevole, imbarazzante, ma soprattutto perché mi rendo conto che, se la polizia si trova a fare queste “richieste” per arrotondare lo stipendio, la vita per la popolazione locale dev’essere alquanto dura. Sarà, questo l’unico episodio spiacevole di tutta la vacanza.

All’uscita dell’aeroporto incontro Christian, la guida, e Berthin, l’autista, con cui trascorrerò i dieci giorni successivi. Sono gentili, allegri, Christian parla un italiano eccellente, anche Berthin, con mia sorpresa, parla italiano, anche se non ancora speditamente come Christian. Ho subito l’impressione, che si rivelerà vera, che andremo molto d’accordo. Prima di cominciare questo viaggio, mi accompagnano in un albergo accogliente, immerso nel verde, dove potrò finalmente lavarmi, mangiare e riposarmi. Per cena, mi lancio subito su un piatto locale: carne di zebù grigliata, molto gustosa.

Il viaggio comincia, sarà interamente dedicato alla scoperta della natura, unica qui in Madagascar. La flora, con tutte le 8 specie di baobab presenti al mondo, delle quali 6 endemiche di questa terra; la fauna, con la presenza di tante specie diverse di lemuri. Attraversiamo l’altopiano, per andare in direzione sud-ovest. Colline, risaie, una natura rigogliosa, che risente dei benefici della stagione delle piogge. Lungo la strada ci fermiamo a visitare una fabbrica artigianale, a conduzione familiare, di pentole e marmitte. Fa freddino, e io indosso la giacca bianca del Napoli calcio. Mentre sono intento a osservare la produzione di coperchi in alluminio, arriva una scolaresca in gita e, tra i ragazzini, mi colpisce uno che indossa la tuta del Napoli. Tale è la mia gioia che comincio a gesticolare e a chiedergli di fare una foto insieme, ma il ragazzino non parla inglese e mi guarda perplesso: si starà sicuramente domandando cosa voglia da lui questo vecchio bianco. Non mi arrendo, chiedo a Christian di tradurre e il ragazzino, sorridendo, acconsente. Di quella sosta mi resteranno non tanto pentole e coperchi, ma il sorriso di un giovane tifoso del Napoli dell’emisfero australe. Riprendiamo il viaggio, allietato dal paesaggio incantevole e dal sole, che però presto decide di salutarci per lasciar posto a nuvoloni neri, che senza indugio iniziano a scaricare una pioggia violenta. La stagione delle piogge è ancora tra noi, ahimè, il cielo diventa scuro e Berthin è costretto a guidare per ore con una visibilità scarsissima. Dopo aver attraversato la pianura di Menabe ridotta a palude arriviamo in hotel a Miandrivazo, dove trascorreremo la notte. L’albergo è aperto solo per noi, che siamo gli unici clienti.

La mattina dopo splende il sole, e noi ci mettiamo in viaggio in direzione mare; la nostra meta sarà infatti Morondava, dove pernotterò due giorni. Arriviamo nel primo pomeriggio, e subito ci dirigiamo ad ammirare i baobab. Ce ne sono centinaia, forse migliaia. Il viale dei baobab è forse il luogo più fotografato del Madagascar, specialmente al tramonto, e rappresenta spesso il Paese nelle guide turistiche. La stagione delle piogge ha lasciato dei laghetti tra i baobab, che rendono il luogo ancora più spettacolare. I turisti si riversano in questo viale in attesa del tramonto; noi ne approfittiamo per recarci poco lontano, dove si trovano due baobab, grossi ma non maestosi, che sono cresciuti intrecciandosi l’un l’altro. La leggenda narra che si siano innamorati e abbiano deciso di vivere insieme. Rientrato in albergo, ho il mio primo incontro con un lemure, che saltella fuori dal mio bungalow. Anche in questo albergo sono l’unico cliente, ma il ristorante è aperto e così vengono a mangiare anche altre persone. Mi accorgo che i menu propongono una cucina internazionale, che non mi dispiace ma, come sempre, sono curioso di assaggiare la cucina locale. Chiedo perciò se è possibile mangiare qualcosa di tipico la sera dopo; il cuoco accoglie la mia richiesta con entusiasmo, e mi dice che preparerà il romazava.

La mattina dopo partiamo per la foresta di Kirindy per un’escursione di mezza giornata, dove osserverò, oltre ai tanti baobab, piante, insetti di ogni tipo e qualche serpente, anche le prime due specie di lemuri. Mi affascina in particolare quello bianco e nero, il syfaka, che, oltre a saltare di albero in albero, cammina sul sentiero con dei movimenti tali da sembrare passi di danza. Mi accompagna un giovane ragazzo di Morondava, che ha studiato da ranger e lavora già da qualche anno; è entusiasta, è appassionato, risulta molto piacevole esplorare la foresta con lui. La sera, a cena, gusto finalmente il romazava; si tratta di un brodo di carne ed erbe, aromatizzato allo zenzero, accompagnato dal riso in bianco, che qui si mangia come il pane, a colazione, pranzo e cena. Il romazava che mi servono è a base di pollo, gustoso.

La giornata successiva è di trasferimento, destinazione Antirabes, la seconda città del Madagascar, dove giungeremo solo di sera. Il sole splende, le condizioni della strada sono buone, così approfittiamo del tempo a disposizione per conoscerci meglio, tutti e tre, per raccontarci di noi, delle nostre vite. Sono proprio fortunato ad avere per compagni di viaggio Christian e Berthin. Arriviamo a destinazione di sera, in un albergo di stile occidentale, che scoprirò essere di proprietà di uno svizzero. Leggo il menu per ordinare la cena, e scopro con stupore che, tra le proposte, c’è la raclette, piatto tipico svizzero. Per fortuna c’è anche il romazava, che ordino senza indugi. Stavolta nel piatto ci sono il pollo, il manzo e il maiale, che rendono il romazava ancora più gustoso di quello mangiato il giorno prima.

Il giorno seguente ne approfittiamo per visitare Antirabes, attraverso il viale dell’indipendenza e un albergo storico che ne rivela il suo passato coloniale, per poi passare in Chiesa. E’ domenica e la chiesa è talmente affollata che io non riesco a entrare: mai vista tanta gente da noi, nemmeno a Natale. Andiamo poi a visitare i laboratori artigianali, di ricami, di giocattoli, di lavorazione del corno di zebù, oltre a quello di minerali, che affascinerebbe non poco mia nipote Sofia. Ne approfitto per comprare ricordini per tutta la famiglia. Proseguiamo poi per la nostra destinazione, Ranomafana, dove si trova la foresta pluviale. Arriviamo nel tardo pomeriggio in un albergo affollatissimo di turisti, ed ecco che comincia a piovere, tanto per non smentire il luogo in cui ci troviamo. In albergo conosco tre tedeschi, due donne e un uomo, che ho già intravisto nei giorni precedenti e che incontrerò durante il resto del mio viaggio. C’è anche un gruppo numeroso di turisti svizzeri, oltre a una comitiva di turisti spagnoli. Incontrerò tutti quanti la mattina dopo in foresta. A cena, io che mangio da solo, mi accorgo di essere l’oggetto degli sguardi furtivi degli altri turisti: è incredibile quanto il viaggiare da soli susciti ancora perplessità, nonostante si sia nel ventunesimo secolo, e nonostante abbia i suoi vantaggi, permettendomi di conoscere meglio la popolazione locale. La mattina dopo, di buon’ora, mentre gli altri turisti stanno ancora facendo colazione, ci dirigiamo all’ingresso della foresta; Christian ha già trovato una guida per me, che parla italiano. Entriamo per terzi, dopo due coppie. Mentre la guida mi dà le prime spiegazioni, nei pressi del fiume, l’uomo della coppia davanti a me mi chiede se sono italiano e da dove vengo. Gli rispondo che vengo da Napoli e gli chiedo da dove venga lui; mi dice di essere svizzero, ticinese. A quel punto sorrido e gli dico di essere anche svizzero, di Horgen… A questo punto è la sua compagna a sorridere, dicendomi, in tedesco, di essere cresciuta proprio a Horgen, che non è esattamente una metropoli. Quanto è piccolo il mondo! Continuiamo a parlare in tedesco e facciamo un pezzo di strada insieme, osservando i primi lemuri. Durante quest’escursione mi imbatto in decine di lemuri, di specie diverse. Oltre a quelli già incontrati a Kirindy, riesco ad ammirare il lemure “Hapalemur Aureus”, la cui scoperta risale solo al 1987. E’ una passeggiata bellissima, benedetta dall’assenza di pioggia. A differenza dell’escursione precedente, questa foresta è piena di turisti. Ci fermiamo per una sosta in un punto panoramico, e le guide parlano tra loro di politica e delle elezioni che si terranno a fine anno, per eleggere il nuovo presidente della repubblica. Ascolto con attenzione e da quel momento la politica, non solo malgascia ma anche svizzera e italiana, diventerà un argomento di conversazione tra me, Christian e Berthin. L’escursione continua tra cascate, fiumi, ruscelli, baobab, e tanti tanti lemuri. Nel pomeriggio visitiamo una piantagione di tè e anche una piccola fabbrica, che produce il tè verde e il tè nero; la visita si concluderà con un assaggio dei diversi tipi di tè e qualche acquisto per mio padre e la mia amica Piera. Mentre visito la fabbrica osservo i macchinari, con gli organi in movimento non protetti, e il responsabile della sicurezza che è in me si risveglia e si chiede quali e quanti infortuni abbiano avuto. All’inizio decido di non domandare, anche perché sono certo che mai mi racconterebbero la verità, ma poi non resisto. Cerco di essere quanto più diplomatico possibile facendo la domanda a Christian, che la traduce in francese: il nostro accompagnatore è sconcertato, ma poi ammette che sì, un infortunio serio c’è stato, ma diversi anni fa.

La mattina seguente, dopo una ricca colazione, ci dirigiamo ad Ambalavo, cittadina famosa per la lavorazione artigianale della carta di antaimoro, prodotta con la scorza del papiro macerata. La cittadina è famosa anche per un importante mercato degli zebù, il bestiame più importante del Madagascar. Visitiamo anche la foresta di Anjia dove, oltre a camaleonti e insetti vari, ho l’opportunità di ammirare un’altra specie di lemuri, i Makis. Nel pomeriggio arriviamo in un albergo stupendo, fatto di bungalow che affacciano sul lago. Gli alberghi sono stati tutti di ottima qualità, ma questo mi è rimasto nel cuore. Non sono l’unico cliente, anche un altro paio di camere sono occupate. Mi fermo con Berthin a guardare le partite di qualificazione per la Coppa d’Africa, e chiedo se è possibile assaggiare l’altro piatto tipico, il ravitoto: si tratta di spezzatino di maiale stufato e cotto con foglie di manioca pestate e latte di cocco. Lo cucinano a posta per me e, già dal primo boccone, cado in estasi. Lo preferisco al romazava perché ha un sapore molto più particolare, unico nel suo genere.

Si riparte in direzione Sud, nella regione dell’Isalo. Il paesaggio cambia completamente; la natura, da rigogliosa, diventa secca, i colori passano dal verde al giallo. Alloggio in un hotel di lusso, di proprietà di un italiano. La stanza affaccia sulle rocce, sembra di essere in un canyon. La cucina è internazionale, raffinata, ma non sono in Madagascar per mangiare all’europea, così chiedo se è possibile ordinare il ravitoto per la sera seguente. Anche in questo caso, accettano volentieri. La mattina dopo, visita al parco nazionale dell’Isalo, molto diverso dai precedenti. Brullo, caratterizzato da rocce, tanto da essere conosciuto come il “Colorado malgascio”. In questo parco ho l’opportunità di osservare due tipi di lemuri, il fulvus, e di nuovo i Makis, conosciuti anche come lemuri Catta, con la loro coda ad anelli, bianca e nera. Passeggiamo poi tra discese e risalite, arriviamo fino a una piscina naturale, formata da un corso d’acqua che sgorga dalle rocce. Ci sono piante maestose, tra le quali le palme, e baobab nani. Il parco nazionale contiene anche diversi luoghi sacri per gli abitanti locali, i Bara, che utilizzano le grotte del canyon per seppellire i loro morti. La guida che mi accompagna è un signore anziano, che fa la guida da tanti anni e parla un italiano perfetto. Ha perso la moglie pochi mesi fa, per colpa di un maledetto cancro. Durante la pausa pranzo, assieme a Christian mi fa domande sulla grammatica italiana. A diverse so rispondere, ma alcune regole sono veramente difficili da spiegare, specialmente quando si fa il confronto con altre lingue.

Lasciato l’Isalo, si va verso l’estremo sud, a Tulear, passando per il villaggio di pescatori di Ifaty. Il bungalow dà sul mare, e ne approfitto per un tuffo nell’oceano. Sono di nuovo nel canale di Mozambico, le cui acque avevo già assaggiato nel 2015, allora proprio in Mozambico.

Si avvicina l’ora di salutare Berthin e Christian, che mi accompagnano all’aeroporto di Tulear, dove prenderò un volo interno per Antananarivo. E’ stato molto piacevole viaggiare con loro. I miei compagni di viaggio torneranno invece in auto, e ci impiegheranno quasi due giorni. Io invece salgo su un aereo a elica e per due ore sorvolo, in una sorta di riassunto finale, tutti i luoghi che ho visitato in auto in questi dieci giorni. All’arrivo mi attende una nuova guida, Patrick, e un nuovo autista, Fabrice, che mi accompagnano in albergo, lo stesso dell’inizio del viaggio. Il giorno dopo mi scarrozzeranno per Antananarivo, tra salite e discese, palazzi coloniali, la stazione ferroviaria, aperta nonostante i treni passeggeri siano stati soppressi anni fa, la cattedrale cattolica, il palazzo della regina… trascorriamo diverso tempo tra i vicoli del suo quartiere, e così Patrick mi racconta la sua storia: è un insegnante di scuola media, che nel weekend e durante le vacanze scolastiche arrotonda lavorando come guida. Anche sua moglie lavora, ma due stipendi non bastano per vivere con la famiglia ad Antananarivo. Questa sua affermazione conferma le impressioni che avevo avuto all’inizio del viaggio dopo la disavventura con la polizia. Speriamo che le prossime elezioni portino un po’ di benessere al popolo malgascio. Io sono in partenza, ma porterò questa terra con me, nel mio cuore.

7 Comments

  1. Maurizio ci porta con sé nel suo viaggio fatto di esperienza viva, a contatto col territorio e gli indigeni. Percorriamo con lui le tappe della sua esperienza e, alla fine, le viviamo un po’ anche noi.

  2. Prima lettura fatta sul telefonino. Ma il tuo racconto è talmente vivo che ne farò una seconda seguendoti su una cartina per fissare visualmente il tuo viaggio. Che splendore, non sono mai stata in Africa, ma la tua “malattia”, così piena di incontri che vanno dagli animali, alle persone passando per il mondo minerale, è contagiosa!!! Grazie Maurizio per portarci in viaggio con te.

  3. Ho trovato questo tuo racconto-reportage veramente bellissimo. Ad una prima lettura l’ho centellinato poco per volta, concedendomelo nei momenti di tranquillità; e ora, nell’intento di lasciare un commento anche qui sul tuo blog, l’ho riletto nuovamente. Hai saputo suscitare nel lettore mille emozioni, mille curiosità, e soprattutto hai saputo condividere e coinvolgere. Una vera e propria dichiarazione d’amore per l’Africa (ma già conoscevamo questo tuo legame), oltre che per il Napoli. E le fotografie sono straordinarie, sei riuscito nell’intento di cogliere, e trasmettere, la bellezza e il fascino autentico di quel territorio. Mi ha ricordato i bei servizi che leggevo su Airone. Spero in un futuro prossimo in cui scriverai un libro.

  4. Splendida descrizione di viaggio, sembra di essere lì e sentire i profumi della foresta e del cibo. Un abbraccio Maurizio.

Lascia un commento

Your email address will not be published.