La Spoon River dei braccianti: storie di chi non ce l’ha fatta

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Ci sono libri che non si vorrebbe mai leggere, per quanto duri sono; eppure ci si sente in dovere di leggerli perché raccontano una realtà che, per quanto nascosta, è vicina a tutti noi. Una volta letti, non si può far a meno di condividere quanto appreso, ricordato, scoperto…

E’ quello che mi è capitato col libro di Antonello Mangano, La Spoon River dei braccianti, pubblicato dall’editore Meltemi. Ci racconta storie di persone morte di lavoro, di fatica, di stenti. Alcuni di loro erano stranieri, altri italiani; avevano in comune il fatto di essere degli sfruttati e di lavorare nelle nostre campagne, per raccogliere ciò che noi, quotidianamente, mangiamo a tavola.

Alcune di queste storie le conoscevo già, perché avevano ottenuto lunga eco da parte dei mass media; penso a Paola Clemente, morta ad Andria, nel luglio 2015 all’età di 49 anni. Il suo corpo fu portato direttamente all’obitorio, senza nemmeno eseguire l’autopsia. Una lunga inchiesta svelò invece una realtà di sfruttamento legato ai lavori interinali e, dopo un lungo processo, si è ottenuta una legge contro lo sfruttamento. Penso a Jerry Essan Masslo, morto a 30 anni nel 1989, a Villa Literno. Sudafricano, rifugiato a Roma, scappava dal regime dell’apartheid, per vivevere si era dedicato al lavoro della raccolta dei pomodori. Fu ucciso nel corso di una rapina.

Tante erano le storie che invece non conoscevo… Ioan Puscasu, romeno, morto a Carmagnola nel 2015, a 47 anni, nei pressi di una serra dove lavorava in nero; i padroni hanno lavato, rivestito e spostato il cadavere per dimostrare che non lavorava da loro… Adnan Siddique, pakistano, morto nel 2020 a Caltanissetta, a 32 anni; aiutava gli altri, sempre, senza pensare ai rischi. Riparava macchine per stampa e cucito. Aveva accompagnato i suoi amici a denunciare i caporali dei campi. Lo hanno minacciato e poi colpito a morte con 26 coltellate… Becky Moses, nigeriana, morta a San Ferdinando a 26 anni, nel 2018; era sfuggita a un matrimonio forzato in Nigeria con un uomo di 74 anni. Arrivata in Italia, le hanno negato il diritto d’asilo. Sperava di rimanere a Riace, ma si ritrovò nel ghetto di San Ferdinando, dove morì bruciata viva…

L’autore ci racconta non solo gli ultimi momenti di vita dei protagonisti, ma anche le loro origini, i loro sogni, le loro aspirazioni, e così queste storie diventano uomini e donne e queste pagine creano una connessione emotiva con il lettore.

Il capitolo conclusivo, “Che fare? Risposte politiche al grave sfruttamento”, è fondamentale, perché questo libro non solo denuncia, ma indica la strada da seguire, e quelle da non seguire, per debellare la piaga dello sfruttamento. Ancora una volta un libro che dovrebbe essere letto dalla classe politica tutta, e in particolare da quella che siede in Parlamento e ricopre ruoli di governo.

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