Silvia Nirigua è un mio contatto Facebook da anni, anche se non ci conosciamo; di più, non abbiamo mai interagito direttamente, eppure siamo rimasti reciprocamente tra i contatti, nel mio caso perché Silvia, pur scrivendo poco su Facebook, propone post sempre intelligenti, profondi e lievi allo stesso tempo.
Ho scoperto qualche settimana fa che Silvia ha pubblicato un libro, Autobiografia immaginaria di una lesbica, edita da Amazon, e ho deciso che non potevo lasciarmelo scappare. Dopo averlo letto, confermo che la mia scelta è stata felice, non solo per la scrittura di Silvia, ironica e accurata, ma per il tema, mai sufficientemente raccontato, mai adeguatamente analizzato.
Il libro, scritto rigorosamente in prima persona, come ogni autobiografia che si rispetti, reale o immaginaria che sia, racconta la vita di una quarantenne bolognese, lesbica, e ci mette subito di fronte alla realtà dei nostri giorni, senza accuse dirette ma, allo stesso tempo, senza sconti.
L’autrice ripercorre i tormenti di una giovane adolescente, che comincia a fare i conti con il proprio orientamento sessuale ed è ovviamente spaesata, non solo in quanto adolescente, ma perché del lesbismo poco si sa (con l’eccezione di Saffo) tanto che sembra che, in Italia, le lesbiche non esistano. I primi contatti con altre donne, i primi approcci, sono raccontati con tenerezza e obiettività, senza lasciar spazio al sentimentalismo. Le domande che la protagonista si pone sull’orientamento sessuale, aiutata in questo dalla “scala di Kinsey” per una più corretta “catalogazione” degli orientamenti sessuali, sono quelle che tutti gli adolescenti che hanno provato, almeno una volta, pulsioni non strettamente eterosessuali, si sono poste. “Non dovrebbero esistere le categorie sessuali, le persone potrebbero serenamente vivere le attrazioni che provano indipendentemente dall’oggetto delle stesse. Eppure queste distinzioni ti vengono continuamente ricordate, non puoi fare un passo senza che tutto il mondo si avvalga di tali definizioni volte a circoscrivere l’indefinibile”.
Altro tema importante è quello del coming out, che in un mondo normale non avrebbe senso fare. La protagonista racconta il dialogo con i genitori e, da quello, riflette sull’importanza di fare coming out, sempre. “In realtà penso che il coming out nei confronti dei genitori lo dovrebbero fare tutti quanti, anche i non gay. Un mio amico carissimo non è riuscito a dire ai genitori che non voleva battezzare i suoi figli, così si è ritrovato in chiesa a recitare una commedia che non sentiva minimamente sua. […] Certo il problema del mio amico non è risolto, ma appena cominciato, verranno la comunione e la cresima e quando i figli saranno più grandi e gli domanderanno il significato di questi sacramenti, sarei curiosa di sentire la risposta”.
La protagonista continua a raccontare la sua vita, come tutti alla ricerca dell’amore, e si imbatte in amori sbagliati, in amori improbabili, in amori mancati. Tanti sono gli spunti di riflessione, alcuni divertentissimi, come il parallelismo tra gli orientamenti sessuali e i pesci del mare; altri più seri, come la descrizione delle feste per sole donne. Si arriva poi a un tema cruciale, quello della maternità, o, più in generale, della genitorialità, vietata ad alcuni cittadini da parlamenti e governi retrogradi e bigotti. Non si può non pensare alla situazione attuale, alla maggioranza di governo che rende la gestazione per altri un reato universale ma allo stesso tempo invita alle feste di partito chi della gestazione per altri ha usufruito e, a differenza dei comuni mortali, ha il privilegio di essere ricco.
Il libro si conclude con delle riflessioni che sono pura poesia. Ritengo il romanzo della Nirigua necessario nell’Italia di oggi, perché è scomodo e illumina le ipocrisie che ci circondano. Invito tutti voi a leggerlo e auguro a Silvia di poter trovare un editore che possa diffondere capillarmente il suo scritto.
Storie di coraggio e coerenza, oltre che del contrario!
Storie di una società che non riesce, ma che, una volta di più, dimostra di non voler evolvere e neppure di praticare veramente e nei fatti ciò in cui afferma di credere!
Grazie Maurizio, ancora una volta, per i tuoi suggerimenti. Ogni volta è un’occasione di riflessione profonda su temi importanti. Riflessione che si impone non solo per i temi in sè ma anche per il tuo modo di scriverne.
C’è un prezzo da pagare, sia a vivere una vita contro le aspettative della società, sia a adeguarsi a standard e regole che vanno contro sé stessi… si può conoscere solo il prezzo riferito alla propria vita, ma non veramente a quella di altri. E questo prezzo risulta alto o sproporzionato nelle società che negano i diritti.