Cartoline di Napoli

foto di Peter Gautschi

Inizia

Tra poco compirò cinquantadue anni, la metà dei quali trascorsi lontano da Napoli. Nonostante la mia città scorra sempre dentro le mie vene, amata di un amore che mi porta ad analizzarne ogni suo aspetto, e sovente a criticarla, mi chiedo spesso se io abbia ancora il diritto di definirmi Napoletano, vivendo da tanto così lontano da Partenope.

E ogni volta che torno, i miei occhi sono quelli del turista o quelli del cittadino? Non ho le risposte a queste domande, che mi sono tornate insistentemente in mente durante la mia ultima visita, ad aprile, accompagnato da due cari amici svizzeri, Bruno Thomann e Peter Gautschi, alla loro prima esperienza partenopea. Resteremo solo cinque giorni, e voglio cercare di far scoprire ai miei amici quanto più è possibile, sebbene il tempo sia sicuramente limitato. Abbiamo scelto di partire con il primo aereo da Zurigo, alle 7 del mattino, per avere tutta la giornata a disposizione. Alle 8.30 atterriamo, il tempo di sbarcare e subito arrivano le valige, un’efficienza che vuole competere con quella di Zurigo. Vengono a prenderci all’aeroporto i miei cugini Daniela e Massimiliano, che ci invitano a colazione nel bar pasticceria Napolitano a piazza Poderico. Ci raggiunge anche mia cugina Maria Rosaria, e facciamo subito assaggiare a Bruno e Peter alcune delizie napoletane, le sfogliatelle, sia in versione riccia che frolla. Io invece mi fiondo su una graffa, in onore delle colazioni di tanto tempo fa. Si chiacchiera come se non ci si vedesse dal giorno prima, come avviene sempre tra di noi, da cinquant’anni… Ma è ora di andare, Massimiliano e Daniela ci accompagnano al Bed & Breakfast dove alloggeremo; si tratta di Lo specchio dei papiri, in Via Santa Chiara. Ci vado dal 2020, da quando non ho più casa nella mia città. Mi accoglie Marianna, perfetta padrona di casa, e nei giorni successivi incontreremo i suoi genitori, che ormai mi sono familiari e mi mettono a mio agio. L’ospitalità è perfetta, le colazioni abbondanti, io addirittura riesco a mangiare cibi senza lattosio, non solo confezionati, ma anche quelli preparati da Marianna, che mi coccola. Oltre a tutto ciò, il B&B si trova in una posizione strategica, appena dietro la chiesa di Santa Chiara. Tutto è centrale, tutto è vicino, possiamo immergerci subito in quest’avventura napoletana. Peter ama fare fotografie ed è bravissimo, le fa sia a colori che in bianco e nero. Durante il viaggio riuscirà a catturare particolari di una Napoli nascosta, che sono sotto gli occhi di tutti ma che nessuno vede, abbagliati dalla bellezza più evidente della città. A proposito, tutte le foto che arricchiscono questo articolo sono le sue.

La pioggia ci sorprende all’inizio del nostro cammino, e così partiamo dalla visita delle chiese di piazza del Gesù, Santa Chiara e il Gesù nuovo. Sono affollatissime, immagino a causa del maltempo. Mi renderò conto poco dopo, quando il sole tornerà a splendere, che non è così. Napoli è affollatissima, ci sono turisti ovunque, si fa fatica a camminare, non solo nei vicoli e nelle stradine strette, ma anche in via Toledo, quella che io ho sempre chiamato via Roma. Tra uno spuntino e l’altro arriviamo in Galleria, e poi in piazza del Plebiscito. Non può mancare il primo (per gli amici) sguardo al panorama. In galleria, vedo Bruno soffermarsi sulle vetrine che espongono cravatte; mi dice che vorrebbe comprarne una, e allora suggerisco di andare da Marinella, cosa c’è di più napoletano di una delle sue cravatte? Ed eccoci allora ad attraversare via Chiaia, piazza dei Martiri,via Calabritto, fino ad arrivare nel piccolo negozio, che è lì dal 1914. Ci accolgono con il consueto calore, e Bruno comincia a destreggiarsi tra le infinite varietà di cravatte. Racconto che conservo ancora la mia prima cravatta di Marinella, regalo di mia madre ai tempi della laurea, quasi trent’anni fa. La indosso ancora nelle occasioni importanti, come portafortuna, sebbene col tempo abbia acquistato altre tre cravatte Marinella. Mentre Bruno sceglie, decido che quattro cravatte Marinella nel mio armadio sono poche, e così ne compro una quinta. Torniamo al B&B a piedi, a riposare un pochino perché siamo sfiniti, non senza esser prima passati per i quartieri spagnoli, a visitare il “santuario” di Maradona. Lì i napoletani sono pochissimi, ma la folla di turisti, italiani e stranieri, è infinita. La sera siamo pronti per andare a cena da Daniela e continuare le nostre chiacchiere. Bruno e Peter hanno così l’occasione di conoscere mio nipote Francesco.

Il giorno dopo, domenica, il sole splende. Cogliamo l’occasione per salire al Vomero e ammirare Napoli dall’alto. Prendiamo la funicolare di Montesanto, alla Pignasecca. Ne approfitto per spiegare a Peter e Bruno il significato di una canzone che conoscono bene, Funculì funiculà. Visitiamo Castel Sant’Elmo, che vuol dire trovarsi in paradiso pur restando sulla terra. Il maestoso Vesuvio e le tre isole affascinano i miei amici; i Campi flegrei, la mia terra, mi commuovono.Torniamo a piedi nella città bassa, così Peter e Bruno possono rendersi conto di come cambi la città man mano che si scende, di come alla ricchezza si sostituisca la povertà. Rientriamo in Pignasecca, e da lì andiamo a piazza Dante, e poi in via dei Tribunali, fino a visitare il chiostro di San Gregorio armeno. Un po’ di riposo nel B&B, e poi di sera siamo di nuovo al Vomero, invitati dai cugini Cristano e Maria Luisa alla hamburgheria Che macello! Assieme a noi ci sono, oltre a Daniela e Massimiliano, anche Maria Rosaria ed Enzo, suo marito. Da Che macello! Ho avuto l’occasione di gustare le polpette come le cucinava mia mamma, sia fritte che al ragù.

Il lunedì non è una giornata turistica per me, ma il momento di andare al cimitero, a “far visita” a mia madre e ai miei nonni. E’ sempre stato un momento importante e immancabile in tutti i miei viaggi a Napoli, ma è diventato ancora più intenso da quando non ho più casa. Avevo proposto a Bruno e Peter di separarci e di ritrovarci il pomeriggio, ma non hanno accettato, preferiscono venire con me. E’ un bel segno di amicizia, che apprezzo non poco. Per arrivare al cimitero di Cappella, frazione del comune di Bacoli. Dobbiamo prendere un treno, la Cumana, scendere al capolinea, Torregaveta, e poi andare a piedi. La Cumana è il treno che collegava casa mia al centro di Napoli, l’ho preso per anni e, ai tempi dell’università, tutti i giorni. La Cumana è parte della storia della mia famiglia materna, gli Improta. Prima ferrovia extraurbana d’Italia, a inizio del ‘900 il mio bisnonno Pasquale divenne il capostazione della stazione di Torregaveta, e così la famiglia, con mio nonno Mario piccolissimo, si trasferì nella zona flegrea. Mio nonno Mario non seguì le orme di suo padre, ma il fratello Luigi, per me zio Gino, sì, e così gli Improta non hanno più abbandonato i Campi Flegrei. Per questa ragione, oltre che napoletano, io sono flegreo. All’arrivo, affretto il passo lasciando i miei amici dietro di me, e mi precipito al molo di Torregaveta. Non riesco a descrivere le sensazioni che provo, sento solo che sono tornato a casa. Al molo, diversi pescatori attendono pigramente che i pesci abbocchino all’amo. Bruno e Peter mi raggiungono, ci dirigiamo pian piano verso il cimitero; mentre mi trovo di nuovo nei pressi della stazione, sento chiamare il mio nome: è Rosaria, amica di famiglia, vicina di casa dei nonni, figlia di una delle migliori amiche di mamma. Non la vedo da anni, eppure il tempo sembra essersi fermato; ci aggiorniamo sulle nostre vite, ma è come se ci fossimo lasciati ieri. L’abbraccio di saluto contiene tutto l’amore per la mia famiglia. All’arrivo al cimitero ci aspetta Edoardo, amico di scuola che è poi diventato amico oltre la scuola, nel senso che la maturità ci ha avvicinato di più, rendendo la nostra amicizia solida nonostante la distanza. Edoardo ha perso la mamma poco tempo fa, è qui anche lui per un saluto alla sua famiglia, e così ci muoviamo, di tomba in tomba, per rendere omaggio alle nostre radici, perché non dimentichiamo mai quello che siamo stati. Peter e Bruno ci seguono in silenzio.

Finita la visita, decidiamo di far ammirare agli amici svizzeri un pezzettino delle meraviglie della zona flegrea, ma prima ci fermiamo presso l’ autoconcessionaria Schiano, non lontano dal cimitero. No, non voglio comprare un’auto nuova, ma voglio semplicemente salutare Rosanna, amica di scuola che non incontro da tanti anni. Gli altri mi aspettano in macchina, ma Rosanna li fa scendere e offre un caffé a tutti; Bruno e Peter sono colpiti dall’atmofera di affetto che si crea ogni volta che incontro qualcuno. Salutata Rosanna, è tempo di dedicarci a Monte di Procida e ai suoi panorami fantastici. Il cielo è grigio, clima ventoso, non la Napoli da cartolina, ma luce perfetta per le fotografie di Peter. Il golfo è ai nostri piedi. Dopo la via Panoramica, ci spostiamo ad Acquamorta, ci fermiamo in un bar per rifocillarci, ma anche per parlare, per raccontarci, o semplicemente per respirare l’odore del mare. Dopo la sosta, riprendiamo il giro in macchina e mostro a Peter e Bruno Cuma, il luogo dove son cresciuto. Lo faccio da lontano, non è questo il momento di vedere cosa è diventata quella che era casa mia. Ci fermiamo però al Fusaro, dove mia madre e mia nonna hanno insegnato, dal 1940 (mia nonna) al 2004 (mia mamma), per una visita al parco e per ammirare la casina vanvitelliana, costruita su un isolotto al centro del lago Fusaro. Cosa normale per noi, ma alquanto speciale per turisti come i miei amici.

Si è fatta ora di rientrare, riprendiamo la Cumana. Per cena ho prenotato in un ristorante in centro, a Pizza Dante. E’ un ristorante di cucina tradizionale, Al 53 che ogni tanto frequentavo con mia madre. Io mi fiondo sulla parmigiana di melanzane e sulla frittata di maccheroni, gli amici si concentrano su qualcosa di più classico.

Il martedì decidiamo di separarci, naturalmente non prima di aver fatto colazione. Peter ritorna al Vomero, per arricchire le sue fotografie, mentre Bruno e io torniamo al Duomo per ammirare la collezione di gioielli del Tesoro di San Gennaro. Passiamo per l’università, a via Mezzocannone, in particolare al numero 4, dove c’era il dipartimento di Chimica, e poi non posso non salire il famoso “scalone della Minerva”, in cima al quale troneggia la dea della sapienza. A destra della dea c’è ancora l’aula C1, che ai tempi era l’aula di chimica, dove ho seguito i corsi del primo anno e dove, soprattutto, mi sono laureato. L’aula C1 è vuota ma nell’aula a sinistra della statua, un tempo aula di fisica, chiamata F1, e poi di giurisprudenza, chiamata aula dell’ottagono a causa della sua forma, c’è una lezione di statistica in corso. Chiedo ai ragazzi lì presenti cosa studino, e scopro così che ora quelle aule sono frequentate dagli allievi del corso di laurea in Psicologia. Bruno avverte che quest’università deve essere importante. Gli spiego che, oltre a essere una delle università più antiche, la “Federico II” è l’università statale più antica del mondo, e proprio quest’anno compie ottocento anni. Nel pomeriggio ci riuniamo, per andare a passeggiare sul lungomare, dal momento che finalmente splende il sole. La villa comunale, via Caracciolo, Castel dell’Ovo e Borgo Marinari sono i luoghi della nostra visita. Per la cena abbiamo scelto un altro luogo tipico, l’osteria Il gobetto in via Sergente Maggiore, ai quartieri spagnoli, dove, tra le altre cose, mi abboffo di alici fritte.

Il mercoledì, nostro ultimo giorno, ne approfittiamo per rivedere i luoghi che già abbiamo visitato, magari con troppa fretta. Il momento più importante della mattinata è per me l’incontro con mia cugina Pia, la nipote di zio Gino, il capostazione di cui vi ho raccontato prima. Pia lavora all’Ospedale Pellegrini, nel quartiere Pignasecca, e così ci incontriamo di mattina presto, prima che prenda sevizio, per fare colazione insieme. Lei è la cugina, ramo Improta, a cui sono più legato. Pochi minuti prima del nostro arrivo scoppia un violento temporale, e così quando ci incontriamo siamo entrambi bagnati fradici, ma un buon caffè da Scaturchio alla Pignasecca ci ricarica.

A proposito di Scaturchio, non manco di far conoscere la pasticceria di piazza San Domenico Maggiore a Bruno e Peter.. Ci tengo soprattutto a fargli assaggiare i “ministeriali”, questi fantastici medaglioni di cioccolato ripieni di ricotta e ruhm, che sono la dimostrazione che, in quanto a cioccolata (includiamoci anche la cioccolateria Gay Odin), Napoli non è inferiore alla Svizzera. Per cena, Bruno e Peter decidono di invitare i cugini Nappa in pizzeria. Cristiano e Maria Luisa purtroppo non possono esserci, ma ci sono Maria Rosaria, Enzo, Massimiliano e Daniela. Andiamo da Di Matteo, in via dei Tribunali, per l’ultima cena in famiglia.

Giovedì mattina arriva l’ora di rientrare; è festa in Italia è il 25 aprile, la mia festa preferita. Massimiliano e Daniela ci accompagnano all’aeroporto. Mentre cerco di combattere il dolore della partenza con un arancino, un crocché e una zeppola, mi rendo conto di non aver risolto il mio dilemma: dopo tanti anni fuori, sono ancora napoletano o sono diventato un semplice turista? Non lo so, non so rispondere. Voi che ne pensate?

10 Comments

  1. Io con quest’anno ho superato gli anni trascorsi in Sardegna con quelli trascorsi in Toscana. Non mi sono mai fatta la tua domanda, ma ora che mi ci fai pensare, non saprei cosa rispondere! E credo che anche tra qualche anno non saprei comunque decidere. Essere o non essere…

  2. Ogni volta che ti leggo , provo emozioni fortissime…
    In particolare, in questo tuo “ diario di bordo “ mi hai fatto provare ancora più amore e orgoglio per la nostra città…

    • Maurizio, ci è piaciuto tantissimo leggere la descrizione della città che ami sopra ogni altra e che ti ha dato i natali, e non solo! Per noi sei napoletano sin nel midollo! Dopo la lettura ci è venuta una tremenda voglia di tornare a Napoli con il miglior “interprete”: tu.
      A prestissimo, Bruno e Luciano

  3. Maurizio, ci è piaciuto tantissimo leggere la descrizione della città che ami sopra ogni altra e che ti ha dato i natali, e non solo! Per noi sei napoletano sin nel midollo! Dopo la lettura ci è venuta una tremenda voglia di tornare a Napoli con il miglior “interprete”: tu.
    A prestissimo, Bruno e Luciano

  4. Dal tuo racconto direi che sei decisamente napoletano… Ci andrò a novembre per il consueto corso di aggiornamento. Prendo nota dei ristoranti 🙂

  5. È stato un grande piacere rivederti qui a Napoli e conoscere i tuoi simpaticissimi amici svizzeri. Come al solito è stata una gradita compagnia nei momenti in cui ci siamo visti. Alla prossima. Napoli vi aspetta a braccia aperte.

  6. Sei del nostro Sud, napoletano e flegreo, carissimo Maurizio, e svizzero, d’Oltralpe. Il fascino di un’identità che ha superato le frontiere, per necessità di vita e di lavoro, attuando quel sogno con cui siamo cresciuti e in cui credevamo, di popoli e culture fraterne. Questa era l’Unione Europea che sognavamo, non la “fortezza” dedita a guerre e monopolizzata da crescenti autoritarismi di destre, estreme destre e conservatori dove imperano diversità, diseguaglianze, discriminazioni, separazioni, conflitti e affarismi. Ma in noi no…Europei fino in fondo: democratici, giusti, pacifici e fraterni, aperti. Portiamo dentro una “luce” di giustizia umana e sociale. Dobbiamo attraversare questo buio politico, sociale ed economico sentendoci prima di tutto parte di questa terra che ci ha educati e cresciuti ai valori migliori. Ti abbraccio con molto affetto Maurizio e ti ringrazio di questo tuo splendido scritto che è un viaggio passo passo con Voi nei nostri luoghi più cari.

  7. Se ad un albero viene costruito vicino un edificio che fa ombra a parte delle sue fronde, l’albero risponde facendo crescere i rami dove c’è più luce. Le radici rimangono, profonde a cercare il nutrimento. I rami cercano la luce.
    Le radici si adattano, comunicano con le altre piante. Ma rimangono nel loro luogo di origine. Anche se assorbono la pioggia di altre tempeste. Perché è li che sono a casa.

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