Il mio amore per il continente africano iniziò nell’aprile del 1982, grazie a una trasmissione televisiva. Scoprii, ascoltando il programma, che c’era una regione in Uganda, chiamata Karamoja, che era in ginocchio a causa di una terribile siccità, e la popolazione, bambini inclusi, moriva di fame. Rimasi sconvolto da quella notizia e decisi di mandare tutti i miei risparmi a quell’omone che era venuto in televisione a raccontare non solo cosa accadeva laggiù, ma anche le iniziative che lui e i suoi amici stavano organizzando per aiutare la popolazione, prima fra tutte la costruzione di un pozzo. L’omone era Vittorio Pastori, fondatore del Comitato Amici dell’Uganda, che poi divenne Africa Mission. I miei risparmi ammontavano a dodicimila lire, meno di una goccia nel mare, ma comunque tanti per un bambino di appena nove anni.
Sarei arrivato in Africa molti anni dopo, e in Karamoja per la prima volta solo nel 2017, e il mio amore per l’Africa non è rimasto quello che avevo da bambino ma è addirittura cresciuto, nutrito dalle letture di romanzi, saggi, articoli di giornale, che hanno accresciuto le mie conoscenze. Uno degli autori che ha alimentato il mio amore è stato senza dubbio Raffaele Masto, giornalista di Radio popolare, della rivista Africa, autore di tanti libri importanti, prematuramente scomparso nel marzo 2020, durante la prima ondata di questa orribile pandemia. Con i suoi scritti, Raffaele è stato sempre presente nella mia vita; non saprei dire quando io abbia cominciato a leggere i suoi articoli. Ricordo che il primo libro che lessi fu “Io, Safiya”, l’intervista alla ragazza nigeriana accusata di adulterio e perciò condannata a morte per lapidazione, poi salvata da un’indignazione internazionale, che il libro di Raffaele contribuì a sviluppare. Seguirono tanti altri libri, tra i quali “La variabile africana” e “Mal d’Africa”, scritto con Angelo Ferrari. Ebbi la fortuna di conoscerlo bene nel 2018, grazie a un viaggio insieme in Costa d’Avorio, organizzato dalla rivista Africa. Eravamo entrambi mattinieri e così ci ritrovavamo a colazione all’apertura del ristorante, mentre gli altri ancora dormivano. Ne approfittavamo per fare lunghe chiacchierate, tra un caffè e una fetta di pane e marmellata, non solo sull’Africa ma su di noi, le nostre scelte, i nostri desideri, i nostri valori.
Raffaele ha raccontato l’Africa per oltre trent’anni e ora che non c’è più i suoi amici hanno dato vita a un’associazione, chiamata “Amici di Raffa”, non solo per onorarne la memoria, ma anche per perpetuarne i suoi valori, grazie a iniziative concrete, quali l’apertura del “Centro di documentazione Raffaele Masto” (a Milano, presso la rivista Africa), che mette a disposizione centinaia di volumi sull’Africa, liberamente consultabili; la ripubblicazione dei libri di Raffaele ormai fuori catalogo e anche l’organizzazione del “Premio Raffaele Masto” a favore dell’attivismo civico in Africa. Si tratta di un riconoscimento riservato a donne e uomini africani che si sono contraddistinti nella promozione dei diritti umani, nell’impegno sociale, nella tutela delle minoranze, dei dissidenti e dell’ambiente.
La prima iniziativa che gli Amici di Raffa hanno realizzato è stata quella di pubblicare un libro, autoprodotto, con alcuni dei tantissimi articoli che Masto ha prodotto in oltre trent’anni di viaggi in Africa. Il libro si chiama “L’Africa riscoperta”, ha per sottotitolo “Memorie di un reporter”; due degli amici, l’africanista Angelo Ferrari e il direttore editoriale di “Africa”, Marco Trovato, hanno scritto la prefazione e la postfazione. Leggendo il libro, viaggiamo nei posti più sconosciuti dell’Africa, dalla Somalia al Sudan, dall’Uganda all’Angola, senza trascurare Ruanda, Etiopia, Congo, in momenti importanti della storia di questi Paesi. Nel 1992, mentre l’Occidente era alla ricerca del dittatore somalo Siad Barre, a Raffaele riusciva lo scoop di intervistarlo. Nel 1997 ci ha raccontato il crollo di Mobutu e la fine dello Zaire, con particolari inediti sulla famiglia del dittatore, ospitata nello stesso albergo dei giornalisti occidentali. Ci ha raccontato dello slum di Nairobi e di quello di Luanda, non ci ha risparmiato gli orrori del genocidio ruandese, lui che era stato tra i primi giornalisti occidentali ad arrivare in quel teatro di guerra. Il libro si conclude con degli articoli tratti dal blog che Raffaele ha tenuto dal 2012 al 2019, “Buongiorno Africa”.
Raffaele descriveva la storia dell’Africa così: “Nelle carte geografiche dell’antichità, sull’Africa c’era una vasta macchia bianca nella quale campeggiava la scritta Hic sunt Leones, qui ci sono i leoni. Qualche secolo dopo, quello spazio inesplorato si trasformò nel luogo di approvvigionamento di un bene prezioso, gli schiavi, che costituirono un’importante spinta per la rivoluzione industriale. Poi, con il colonialismo, divenne il territorio di produzione di beni minerari e agricoli fondamentali per l’economia europea, e con quella ricchezza l’Occidente finanziò due grandi guerre mondiali e l’equilibrio geopolitico che ne uscì […]”. Con tale storia, l’ovvia conclusione è che l’Africa non ha bisogno di aiuto ma, più semplicemente, di giustizia.
Un libro da leggere, se si conosce l’Africa e si vogliono ricordare gli episodi cruciali della sua storia recente. Un libro da leggere se non si conosce abbastanza l’Africa e si vuole capire le dinamiche che regolano la vita di questo continente. Un libro da leggere se si è innamorati dell’Africa e si vuole ritrovare l’amore che si prova espresso su carta. Un libro da leggere per innamorarsi dell’Africa, se non è ancora accaduto. Un libro da leggere per ricordare Raffaele Masto, prima che grande giornalista grande uomo, che ha amato, di un amore sincero, il continente vero.
Già recensito su Sconfinamenti, il 16 giugno 2021