Ricordando Diego, il nostro Masaniello

Due anni fa, alla notizia della morte improvvisa di Diego Armando Maradona, scrissi questo post di commiato. Lo ripropongo oggi, in occasione del secondo anniversario della morte del Pibe de Oro.

Ieri 25 novembre, mentre stavo ancora lavorando, ho ricevuto un messaggio da mio fratello: “E’ morto Maradona”. Pochi minuti dopo, ricevo lo stesso messaggio da mio padre. Mi stavano informando in tempo reale, come si fa quando viene a mancare una persona cara. Sì, perché Maradona da noi era di casa, come era di casa in tutte le famiglie napoletane e argentine. Da ieri tutti i mezzi di informazione lo ricordano, Napoli, l’Argentina tutta e gli sportivi lo piangono, ma c’è gente che non capisce questo dolore. Qualche spiegazione posso darvela io, da Napoletano e da sportivo (ahimè, solo teorico). Occorre precisare subito che il calcio non è il mio sport, io sono innamorato del tennis. Da bambino guardavo Borg e McEnroe, Lendl e Connors, ero rapito dalle sfide infinite tra Martina e Chris, tifando una volta per l’una una volta per l’altra, mi intenerivo per la fragile e testarda Manuela Maleeva, e poi, qualche anno dopo, mi innamoravo di Gabriela Sabatini… Nel frattempo, nell’estate del 1984, Maradona sbarcava a Napoli, e quello che non era il mio sport diventò anche mio. Abbonamento allo stadio, solo alle partite che il Napoli giocava in casa, e rigorosamente in curva A, perché vicina alla ferrovia Cumana, necessaria a raggiungere il S. Paolo. La domenica era un rito: le partite cominciavano tutte allo stesso orario, ma si andava allo stadio molte ore prima, per socializzare, per stare insieme, per sentirsi un corpo unico, tra una “marenna” con salsicce e friarielli (i Napoletani sanno di cosa parlo) e un sorso di caffè Borghetti. Le magie che Diego ha fatto in carriera le stanno raccontando tutti i telegiornali, non devo certo farlo io. Da tifoso, ricordo la punizione (“assist” di Pecci) che, nel 1985, permise al Napoli di battere la Juventus per 1-0 e interrompere così una striscia vincente di 7 partite consecutive, e il gol alla Lazio (non ricordo l’anno) direttamente da calcio d’angolo in una partita terminata 4-0 per gli azzurri. Ma chi non amava il calcio, a Napoli, come mai amava così tanto Maradona? Per comprendere, dobbiamo ricordare cos’era Napoli, in particolare in quegli anni. La terza capitale d’Europa era ormai una città in continua decadenza, tramortita dal terremoto del 23 novembre 1980, povera, abbandonata, piazza Plebiscito ridotta a un parcheggio, la camorra che spadroneggiava, nessun turista in città. Il Sud era povero, ma Napoli era la Cenerentola di Italia, e i Napoletani alquanto detestati, se non addirittura sbeffeggiati. Erano gli anni che vedevano il fiorire della Lega, e i tifosi napoletani regolarmente insultati durante le trasferte al nord. Insomma, il nord era vincente, il sud no. Maradona, che era basso di statura, moro, occhi scuri, e poteva essere facilmente confuso con uno scugnizzo locale, mostrò all’Italia che, almeno nel calcio, il sud poteva vincere. Almeno in un campo, per una volta tanto, noi Napoletani non eravamo inferiori a nessuno. Questa era la sensazione che provavamo, fu facile identificarci con questo scugnizzo, che divenne, in maniera naturale, il nostro Masaniello. Queste parole possono sembrare un’esagerazione, ma credetemi, so di cosa parlo. Sono emigrato in Lombardia alla fine degli anni ’90 e, pur con una laurea in tasca, ho provato in prima persona gli atteggiamenti discriminatori, palesi o velati. Mi sono sentito dire frasi tipo “Con tutti i giovani laureati che abbiamo qua, proprio un terrone dovevamo assumere?”, “Ah, sei tornato a lavorare dopo le vacanze di Natale, strano. Dopo Natale i Napoletani si mettono in malattia”, “Come sei bravo ed efficiente, non sembri proprio napoletano” (questo voleva essere un complimento), “Perché vuole affittare una casa così grande (3 locali)? Non è che l’affitta lei e poi ci abitate in dieci?”

Maradona trasmetteva lo stesso senso di riscatto in Argentina, che stava appena uscendo da una feroce dittatura, che aveva appena perso la guerra contro la Gran Bretagna per il possesso delle isole Falkland. Maradona rappresentava la rivincita di un popolo oppresso.

Il nostro Masaniello era contro i potenti del calcio, tutti, e certo non le mandava a dire. Si pensi, ad esempio, all’inimicizia con Blatter, il presidente FIFA. E i potenti si sono sempre vendicati, basti ricordare la finale mondiale 1990, vinta dalla Germania grazie a un rigore inesistente. O anche i mondiali del 1994, con Maradona squalificato per doping, quando ci si rese conto che era calcisticamente ancora troppo pericoloso. Lo stesso Ferlaino, che pure grazie a Maradona aveva vinto 2 scudetti, 1 Coppa Uefa, 1 Supercoppa italiana e una Coppa Italia, non esitò a disfarsene quando non gli serviva più.

Anche politicamente, Maradona era contro i potenti. Famose le sue invettive contro Bush. Ancora più famosi il suo tatuaggio di Che Guevara, la sua amicizia con Fidel Castro, il suo appoggio a Chavez. E’ sempre stato dalla parte del popolo, sempre contro i potenti, non ha mai avuto paura di andare in direzione ostinata e contraria. Certo, Maradona non aveva avuto un’istruzione, e quindi si ribellava con i mezzi che aveva, cioè soltanto il suo talento e la capacità di attirare l’attenzione su di sé. Non conosceva la diplomazia e non aveva alle spalle nemmeno società che ne tutelassero l’immagine, come accadeva ad altri campioni del tempo, basti pensare a Platini.

Molti ricordano adesso le sue cadute, i suoi errori: la tossicodipendenza, i problemi col fisco, le svariate donne… Tutto vero, ma non posso fare a meno di rilanciare le parole del mio amico Vittorio Zambardino: “di Caravaggio ricorderebbero l’omicidio, le taverne, i ragazzi”.

Più semplicemente mi viene da dire che quello che si condanna a Maradona lo si accetta senza troppi problemi, se i peccatori sono altri: la Lega nord, primo partito d’Italia, che si permette di sottrarre 49 milioni di Euro agli Italiani, e nonostante questo continua a essere votata, Berlusconi e compagnia che non si sono certo fatti mancare compagnie femminili, tanto da aver esportato il “Bunga bunga”, senza troppi scandali, la droga che a tanti artisti e politici ha fatto compagnia…

La verità è che Maradona ha pagato per tutti i suoi errori, e con lui le persone a lui care. Quello che resta a noi sono le sue magie e sì, anche il suo titanismo: lo scugnizzo che, con la sua squadra, va a infastidire le potenze calcistiche degli Agnelli e dei Berlusconi, che con la sua nazionale porta scompiglio nel calcio mondiale, minando l’autorità di Brasile e Germania, che con i suoi atti si schiera sempre dalla parte degli ultimi contro i potenti, pur sapendo che tante battaglie le perderà.

Grazie, Diego, per aver conservato per tutta la vita la tua anima bambina e soprattutto grazie per averci fatto credere, almeno fino a ieri, che un altro mondo è possibile.

7 Comments

  1. Meraviglioso affresco di un’epoca che non dimenticheremo mai e di un Personaggio che trascendeva l’umana società
    Grazie Maurizio

  2. Articolo fantastico….solo 2 puntualizzazioni…. la juve battuta dalla punizione di Maradona nel 1985 veniva da 8 vittorie consecutive e l’anno dei 3 gol di Maradona alla Lazio era lo stesso, 1985, ma a febbraio, quindi per il campionato 1984-85, il primo di Diego a Napoli….ovviamente leggi queste puntualizzazioni con occhio ironico e te le ho fatte per farti capire quanto ancora sia presente nella memoria quel momento storico magico, durato 7 anni…

  3. Anche a me, che detesto la dittatura del calcio, questa storia dell’uomo Maradona e di ciò che ha significato per voi, fa piacere. Diego Armando non sarebbe d’accordo con questa frase “[…] che aveva appena perso la guerra contro la Gran Bretagna per il possesso delle isole Falkland.”
    Lui avrebbe detto las Malvinas 😉

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