Il libro che vi presento oggi non è un libro nascosto, bensì un libro dimenticato; si tratta del romanzo Speranzella, di Carlo Bernari, pubblicato nel 1949 e vincitore del premio Viareggio nel 1950. Carlo Bernari era lo pseudonimo di Carlo Bernard, scrittore, giornalista e partigiano partenopeo, collaboratore del quotidiano Il tempo, di cui divenne caporedattore succedendo a Indro Montanelli. Nella sua carriera di scrittore, Bernari vinse diversi premi; oltre a quello indicato sopra, va citato anche il premio Brancati, vinto nel 1977 per la raccolta di saggi Napoli silenzio e grida.
Recentemente Marotta e Cafiero ha riportato alla luce questo gioiello dimenticato, con un’edizione ricca di fotografie in bianco e nero e anche di una colonna sonora, ascoltabile utilizzando Spotify. La quarta di copertina presenta il libro con queste parole: Il potente romanzo corale di Carlo Bernari sulla Napoli occupata dagli Alleati. Uno dei grandi maestri della letteratura partenopea dipinge i vicoli di Napoli con un realismo spietato e magico. Personaggi indimenticabili si muovono fra i bassi, come Donna Elvira, la Cafettèra, affezionata al re e alla monarchia. E Nannina, giovane e idealista, con il desiderio di abbandonare i vicoli e rifarsi una vita. Due generazioni a confronto. Le vite di chi aspetta un miracolo a via Speranzella, che taglia in due i Quartieri Spagnoli: è strada, ferita, inferno. Un microcosmo pulsante fra i disordini del dopoguerra, un romanzo che non ha paura di mostrare la vita dei bassifondi, di una Napoli che dopo la guerra non ha smesso di combattere.
Si tratta di luoghi che conosco, i quartieri spagnoli in generale e la Speranzella in particolare. Si racconta di un tempo che non conosco direttamente, ma di cui ho sentito raccontare dalle mie nonne; Napoli distrutta dalla guerra, che cerca di riprendersi il presente e il futuro. La mia famiglia non viveva in quella zona, eppure le storie raccontate non sono diverse da quelle che trovo nel romanzo. Si discuteva se scegliere la monarchia o la repubblica, e spesso venivano definiti “comunisti” tutti coloro i quali si schieravano per la repubblica, esattamente come viene raccontato nel libro. Questo scontro accendeva gli animi di tutti, non importa a quale ceto sociale si appartenesse o dove si vivesse.
I personaggi del libro sono descritti con minuzia di particolari, anche se l’autore usa solo le parole essenziali per farlo. Il mio preferito è Donna Elvira, della quale ovviamente non condivido le idee politiche, ma ammiro la passione e l’attivismo con cui le porta avanti. Mi ricorda una persona che aveva idee politiche opposte alle sue, ma la stessa passione e lo stesso attivismo. Sto parlando di Ada, la mia tata, o meglio, la mia terza nonna, classe 1924, comunista convinta, che, quando ero bambino, mi insegnò a cantare Bandiera rossa.
Un libro dimenticato e riportato alla luce, che racconta quella microstoria che non trova ospitalità nelle pagine dei libri di scuola e che, inevitabilmente, le giovani generazioni non conoscono. Marotta e Cafiero ci offre un’ottima occasione per recuperare.
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È sempre un piacere leggere e far leggere libri napoletani. Grazie Maurizio!