Romanzo naturale: l’esordio di Gospodinov

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Ottobre, è tempo di premi Nobel, tra i quali quello per la letteratura, che ogni anno suscita vivaci discussioni. Vorrei annunciarvi con questo articolo un futuro vincitore, che sono certo verrà premiato entro i prossimi dieci anni: Georgi Gospodinov. Non sono attendibile, direte voi, io che aspetto da anni la vittoria di Ngugi wa Thiong’o, ma considero la mancata vittoria dello scrittore keniota come un grave errore dell’Accademia di Svezia, che non credo ripeterà lo stesso errore anche con lo scrittore bulgaro.

Di Gospodinov vi avevo già raccontato, sia presentandovi Cronorifugio, uno dei romanzi migliori degli ultimi anni, che la raccolta di racconti brevi Tutti i nostri corpi. L’editore Voland ha recentemente ripubblicato il suo primo romanzo, Romanzo naturale, uscito in Bulgaria nel 1999, con la traduzione di Daniela Di Sora e Irina Stoilova.

Il romanzo racconta di un matrimonio che sta fallendo e la vita del protagonista precipita fino a coincidere con quella di altre due persone: l’io narrante, redattore di una rivista letteraria, che vuole scrivere un romanzo, e un giardiniere pazzo. Già da questo esordio si coglie tutta l’originalità dello scrittore bulgaro, che io no esiterei a definire unico, nel senso che non mi vengono in mente scrittori simili a lui. Lo so, è stato accostato sia a Milan Kundera che a Friedrich Duerrenmatt, due scrittori che amo, ma penso che le diversità fra loro siano molto minori delle similitudini.

Una trama semplice, un romanzo dove poco accade, ma che tanto fa riflettere, per le riflessioni del protagonista, dell’io narrante, del giardiniere pazzo, che si sovrappongono fino a confondersi, e poi a fondersi. Riflessioni che mi hanno colpito, emozionato, fatto entrare nel romanzo e negli stati d’animo. Qualche esempio? Eccovi accontentati.

In ogni istante a questo mondo c’è una lunga fila di gente che piange e una più corta di gente che ride. Ma c’è anche una terza fila, di gente che non piange più e non ride più. La più triste delle tre. E’ di questa che voglio parlare.

Non vi sembra che la parola cesso, kenef, suoni in qualche modo più naturale per queste latitudini? Non è stata inventata da teppisti e scapestrati, come crede un gran numero di stimabili cittadini. Viene invece dall’antico arabo kanif e vuol dire ciò che è nascosto allo sguardo.

Mai più avremmo gustato la vita così da vicino come durante l’infanzia, quando ogni cosa che sentivamo andava verificata senza ribrezzo.

Non saremo mai amati quanto lo siamo stati nell’infanzia. Per questo l’infanzia è un tempo crudele. La sua crudeltà sta in quello che ci aspetta. Dove si perde questo amore in seguito? Perché poi tutta la vita vogliamo essere amati come bambini, senza una ragione, per il semplice fatto di esistere?

Forse non è questo l’anno di Georgi Gospodinov, non ancora. Ma sono sicuro che l’ottobre giusto non tarderà ad arrivare.

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