“Ogni viaggio che fai, cambi un poco di più, ogni cosa che fai, ti avvicini di più”, cantava Alice in una canzone di più di trent’anni fa. Ed è proprio così che mi sento al termine di ogni viaggio: cambiato, diverso dal me stesso di prima, non importa se il viaggio sia stato di lavoro o di piacere. Il segreto per me è riuscire a trasformarmi da turista in viaggiatore, cioè da qualcuno che visita le bellezze del luogo a qualcuno che comincia a scoprire l’anima del luogo, entrando in contatto con chi quel luogo lo vive. Ovviamente non sempre ci si riesce, non sempre si ha tempo sufficiente per entrare in contatto con la realtà locale ma, quando questo avviene, si provano emozioni che non si proverebbero restando a casa. In questa rubrica vorrei raccontarvi alcune di queste emozioni.

Era il febbraio 2012 quando partii per il Camerun, per il mio primo viaggio in quella che io chiamo “l’Africa dell’uomo”. Avevo scelto il Camerun perché l’itinerario proponeva le aree del nord e dell’estremo nord del Paese, attraverso la visita dei mercati dei vari villaggi. Dopo l’arrivo a Douala e un volo interno per Garoua, si proseguiva verso nord fino al arrivare al lago Ciad, con la visita all’isola di Kofia. E’ stato in quel viaggio che ho conosciuto veramente i bambini, togliendo finalmente i paraocchi dell’uomo occidentale.
Eravamo appena partiti da Garoua e le auto facevano benzina presso una stazione di servizio, mentre noi viaggiatori prendevamo una bibita nel piccolo autogrill del luogo. Mentre attendevo i miei compagni di viaggio nei pressi dell’auto, vidi degli altri viaggiatori che offrivano un biscotto alla marmellata a un bambino che gironzolava in quel cortiletto. Con mia grande sorpresa il bambino non divorò quel biscotto succulento, ma si allontanò, raggiunse un altro altro bambino, presumibilmente il fratellino, spezzò il biscotto in due e mangiarono insieme.
Poche ore dopo, lungo la strada ci trovammo di fronte a grandi campi di cotone, con tanti lavoratori che lo raccoglievano. Scendemmo dalle auto e ci avvicinammo per parlare con loro, quando all’improvviso spuntarono dozzine di bambini e un pallone da calcio. Uno di loro mi si avvicinò, tirò fuori un quadernone dal suo zainetto, mi informò che andava a scuola e si offrì di farmi dare uno sguardo al suo quaderno. Dapprincipio non capivo, e sfogliai le pagine per pura cortesia, colpito dal fatto che il bambino non era certo un primo della classe. Mi spiegò che lui era un bimbo fortunato, perché poteva andare a scuola, e mi chiese di regalargli una penna. Imparai così che, nei luoghi dove l’accesso all’istruzione non è garantito a tutti, chi può andare a scuola sa di essere privilegiato, e ci tiene a esprimere tutto il suo orgoglio.
L’incontro che però mi cambiò la vita, facendomi imparare una grande lezione, fu quello che avvenne pochi giorni dopo poco lontano da Maroua, nel mercato di un villaggio conosciuto per la bellezza delle donne del luogo. Al nostro arrivo fummo immediatamente circondati da tanti bambini: essendo noi 9 gli unici bianchi del luogo, generavamo curiosità e attenzione. I bambini si muovevano a gruppetti e seguivano quello di noi che sembrava loro più interessante. Poco dopo aver cominciato il mio giro, fui avvicinato da un bambino di non più di cinque anni, che mi colpì subito perché era diverso dagli altri: a differenza di tutti gli altri, non rideva o sorrideva ma mi guardava serio; nonostante il caldo infernale, non indossava come gli altri una maglietta a maniche corte, ma una felpa blu di pile, in alcuni punti sporca di terra. Forse confuso a causa della polo rosa che indossavo, mi chiese: “Madame, mi fai un regalo?” Allora io, col mio francese imbarazzante, gli risposi. “Madame a me? Ma se sono il tuo papà!” Continuò a camminare con me, senza mai sorridere. Arrivarono altri bambini, e poi altri ancora e allora lui mi prese la mano e me la strinse. Continuai a camminare col bambino per mano, e tutti gli altri attorno. All’inizio la cosa mi piacque, ma poi cominciai a sentirmi a disagio. Ero l’unico bianco in quella zona del mercato, non riuscivo a trovare nessuno dei miei compagni di viaggio, ovunque cercassi con lo sguardo vedevo solo uomini locali, tutti grandi e grossi. Cominciai a pensare che avrebbero potuto scambiarmi per un pedofilo e linciarmi. Non sapevo, allora, che prendersi per mano è semplice gesto di affetto o amicizia e non ha alcuna connotazione sessuale. Il disagio crebbe e allora, non senza imbarazzo, gli lasciai la mano, dicendogli che gli avrei dato il mio regalo alla fine del giro. Continuammo a camminare tutti insieme, ma la folla era tanta, i bambini sempre più numerosi e chiassosi, e a un certo punto mi resi conto di averlo perso. Chiesi agli altri bambini dove fosse, ma non lo sapevano. Mi sentii all’improvviso tristissimo, ma continuai a sorridere agli altri bambini, sempre allegri e chiacchieroni.
Alla fine del giro, mi fermai da un piccolo venditore, che aveva non più di 12-13 anni, per comprare la caramelle alle mie guardie del corpo. Mi sparò un prezzo esagerato che non ricordo più, ma non mi misi a contrattare, il prezzo era comunque infinitesimo rispetto al costo delle caramelle qui. Il venditore credeva che le caramelle fossero per me ma, quando gli chiesi di distribuire le caramelle a tutti i bambini, il numero delle caramelle si moltiplicò, rendendo tutti felici. Erano tutti felici, tranne me che avevo perso il bambino, e così tornai, in silenzio, verso l’auto… E fu lì che lo trovai ad aspettarmi! Contentissimo, gli diedi il regalo promesso e lo abbracciai, e finalmente anche lui sorrise.
Da allora ho imparato a portare con me una scorta di penne da regalare, a comprare le caramelle nei vari mercati, così il commerciante guadagna e i bambini sono felici, a farmi raccontare dai bambini come vivono, se vanno a scuola, a prenderli per mano ma soprattutto a farmi prendere per mano… Ogni tanto mi capita di ripensare a quel bambino, oggi adolescente. Chissà come sarà la sua vita…
Grazie, Mauri’, per questo racconto intimo e vero. Ti ho chiesto gia’ una volta come fosse nato il tuo amore per l’Africa, ma dopo questa lettura ti ho capito ancor meglio.
Riceviamo un segnale da un luogo per cui poi siamo fatalmente attratti ad esplorarlo dal vivo (o attraverso la sua cultura) per conoscerlo meglio. Insomma, un classico innamoramento. E piu’ lo conosciamo, e piu’ ne siamo affascinati, meno per il suo mistero, piu’ perche’ ci sentiamo ammessi nella sua famiglia.
Conoscevo già questo racconto dalla tua viva voce, ma leggerlo tocca il cuore nel profondo. Maurizio, continua a donarci i tuoi scritti!
I bimbi sono sempre speciali e con alcuni si crea un’ampatia immediata anche se sono perfetti sconosciuti.
Bellissimo racconto.
L’Africa, quella vera, ha colpito anche il mio cuore tanti anni fa.
Ricordo la prima volta che hai condiviso a
Voce la storia delle penne e la successiva raccolta di qualcosa che per noi è solo una penna e che per
questi bambini è un prezioso strumento per ambire a
Un futuro migliore . Grazie
[…] dieci anni fa, visitai le regioni del nord e dell’estremo nord del Camerun, entrai per la prima volta in contatto con l’Africa dell’uomo. Con uomo intendo il […]