La prima fu a Bacoli, in Via Cerillo 13, ma non ne ho memoria. Di fatto, ci nacqui solo, ma ci trasferimmo poco prima di compiere un anno. Ci trasferimmo in Via Fusaro 111, nella stessa strada vivevano i nonni, anche se all’estremo opposto. Abitavamo sopra il negozio di Clemente il tabaccaio, e accanto a lui c’era Salvatore il salumiere. Mamma mi mandava da loro a fare le mie prime piccole commissioni, avevo tre anni. Le mamme di oggi inorridirebbero. Da quella casa partono i miei primi ricordi; il primissimo è brutto, io che urlo per tutta la casa che mi fa male il pancino: poche ore dopo sarei stato operato d’urgenza. Sono diversi i ricordi birichini, come quando trovai, sulla poltrona del salotto, 50 lire e decisi di andare a comprare cinque ovetti di cioccolato al bar di fronte, da Gennaro. La maniglia della porta di casa era ad altezza bambino e così uscii, stando ben attento a non fare rumore. Era buio, ricordo come se fosse ora che guardai a sinistra e a destra prima di attraversare la strada, ricordo anche che all’interno del negozio diedi la mia moneta a Gennaro e gli chiesi cinque ovetti, e poi non ricordo più nulla, ma le conseguenze mi sono state raccontate tante volte: i miei mi trovarono in salotto che scartocciavo gli ovetti e mi chiesero dove li avessi presi; dopo aver risposto che li avevo appena comprati con i soldi che avevo trovato, a Gennaro, Clemente e Salvatore fu chiesto di fermarmi nel caso mi avessero visto da solo. La mia intraprendenza non pagò.
In quella primavera del 1976 i miei mi portavano tutti i giorni in campagna, a Cuma, sempre a guardare una casa in costruzione, che ai miei occhi appariva decisamente “scarrupata”. Stava nascendo LA casa, quella che la mia famiglia avrebbe posseduto per quarantatré anni, fino a pochi mesi dall’inizio della pandemia. La casa che aveva l’orto da un lato (che poi diventò giardino) e il mare con l’isola d’Ischia dall’altro custodisce di fatto la storia della nostra famiglia. Non basterebbe un’enciclopedia per raccontare la storia di Via Cuma 418, che poi diventò Via Cuma 418 C, e poi IV Traversa Cuma 18, e poi Via San Massenzio 24… In quella casa abbiamo vissuto i momenti più lieti, primo fra tutti la nascita di mio fratello, e quelli più dolorosi, primo fra tutti la morte di mia madre.

Quando lasciai Cuma e la mia famiglia, dopo la laurea, arrivarono le stanze della sopravvivenza, affittate in case abitate da signore anziane. L’affitto era più economico e mi permetteva di gestirmi meglio. La prima esperienza fu a Pisa, dove mi ero trasferito per la specializzazione. Vivevo in Viale Bonaini, nei pressi della stazione, al numero 86, non lontano dalla sede della CGIL. Avevo una stanza con bagno, molto accogliente. Meno accogliente era la signora, che mi diede sì l’uso cucina come da contratto, ma si rifiutò di concedermi l’uso della lavatrice. Ricordo ancora la valigia piena di panni sporchi che mi accompagnava nell’Intercity Pisa Napoli un venerdì ogni 2-3 settimane, per poi ritornare piena di biancheria pulita la domenica sera. Le cose andarono meglio a Milano, non solo perché affittai la stanza (in Via Anguissola 2C) con due amici, Marco e Antonella, ai quali poi subentrò un’altra amica, Giusi, ma perché la signora era un’ex insegnante in pensione, molto dinamica e ricca di interessi, spesso più attiva e moderna di noi. Ricordo che a volte, dopo cena, mentre noi ci riposavamo, distrutti da una lunga giornata di lavoro, lei usciva per andare a teatro e ci salutava dicendo: “I giovani devono lavorare, i vecchi si devono divertire”. Sarei dovuto restare in quella casa per i tre mesi della durata dello stage, invece ci restai anche quando trovai lavoro a Cesano Maderno, e ci restai fino a che cambiai lavoro, a inizio 2002. Vivere lì mi permise di mettere qualche soldino da parte, così comprai la macchina, e soprattutto feci i lavori nel mio nuovo appartamento, a Nettuno.
Lasciata la Lombardia a gennaio 2002, mi trasferii nel Lazio, per lavorare a Campoverde di Aprilia. Ripresi a guidare dopo anni di pausa, e decisi di andare ad abitare sul mare, che mi era mancato negli anni milanesi. Non sapevo ancora, allora, che avrei vissuto ancora più distante da questa fonte di energia. Trovai, per qualche settimana, un appartamento temporaneo ad Anzio, in Via del Teatro Marcello. Si trattava di una dependance in una villa privata, ricordo che era un bilocale, ma non saprei descriverlo, non ne conservo memoria. Saprei descrivere invece l’appartamento di Nettuno, il mio primo appartamento di proprietà, comprato grazie ai miei genitori, in Via Scipione Borghese, al 6A. Me lo vendette un chimico romano, una persona di eleganza non comune, che lo utilizzava come casa di villeggiatura. Me lo lasciò arredato. Era un trilocale, anche se piccolissimo. Per prima cosa feci installare l’impianto di riscaldamento, poi cambiai il divano con un divano letto Chateau d’Ax, pagato a rate. In estate andai con i miei in Costiera Amalfitana, a Vietri sul Mare, e comprai i lampadari di tutta la casa, e i lumi per i comodini della camera da letto. Tutto in ceramica, con uno dei motivi classici dell’arte vietrese. Acquistai, a Nettuno, comodini e cassettiera di vimini, ridipinti di giallo. Il colore principale dell’arredamento era il giallo, il mio colore preferito, il colore del sole. Per completare l’arredamento, i miei mi regalarono un tavolo di bambù, fabbricato in Ghana. Molti di questi oggetti mi hanno seguito nelle case successive. A Nettuno scoprii che mi piaceva vivere da solo, che avevo bisogno dei miei spazi quotidianamente e che non mi era possibile vivere 24 ore al giorno con un’altra persona, nonostante l’amore. La gioia, a fine giornata, o dopo una visita di amici e parenti, di chiudere la porta e restare solo, non si può descrivere. So bene che siamo in pochi a pensarla così e non ho intenzione di convincere nessuno, vorrei solo sottolineare che vivere da soli, quando è una scelta e non un’imposizione di una pandemia o di altre disgrazie, può essere fonte di gioia e non di dolore.

Credevo che sarei rimasto a Nettuno per sempre: ero sul mare, non ero lontano da Napoli, potevo vedere la mia famiglia frequentemente, continuare a frequentare i miei amici storici… Ma qualcosa lavorativamente non funzionò. Il lavoro, che tanto amavo, si rivelò una grossa fonte di frustrazione, soprattutto perché, pur vedendo cosa non andava e avendo un piano di azione per cambiare le cose, ero impossibilitato ad agire. Capii che dovevo andare via, ma fu doloroso accettare tutto questo, perché avevo trovato uno splendido gruppo di colleghi. Restava il fatto che il modo di lavorare del management era troppo distante dal mio e non c’erano margini d’incontro. Cercai lavoro in zona, ma purtroppo non vi erano possibilità in quel momento, e realizzai che, per rinascere, sarei dovuto tornare al nord. Forse senza saperlo, mi spinse il commento di una collega, che mi disse: “Vai via di qui, al più presto. Eri venuto pieno di entusiasmo, e ora stai appassendo”.
E così, il 1 dicembre 2004, eccomi di nuovo in Brianza, non a Cesano Maderno stavolta, ma a Macherio. Avevo lavorato fino a fine novembre a Campoverde, non avevo avuto modo di traslocare e trovare una sistemazione permanente, così affittai un bilocale arredato a Vedano al Lambro, in Via Piave 18, nel palazzo accanto alla posta. Il bilocale era situato al piano terra, al primo piano abitava l’anziana coppia di proprietari, persone molto gentili e cordiali, con cui fu facilissimo andare d’accordo fin dall’inizio. Avendo cambiato lavoro a dicembre, non avevo ferie da prendere, quindi non sarei tornato a Cuma per Natale. Sarebbe stato quello il primo Natale lontano dalle radici. Per non farmi trascorrere le feste da solo, i miei genitori mi raggiunsero da Napoli e mio fratello da Pisa, dove studiava. In quattro in un bilocale per diversi giorni, ma fu bellissimo lo stesso.
Stavo già pensando a trovarmi una sistemazione stabile in Brianza, e a organizzare il trasloco dalla casa di Nettuno, quando fui contattato da un’altra azienda, che mi offrì un lavoro nello stabilimento di Mozzanica, in provincia di Bergamo. Era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare, e così nuovo trasloco. Mi trasferii a Treviglio, in un trilocale molto luminoso. Mio fratello, che stava terminando la specializzazione a Pisa e avrebbe dovuto completare il tirocinio a Milano, come me pochi anni prima, sarebbe venuto a vivere con me. Vendetti la casa di Nettuno, traslocai, ed eccoci in Via San Giovanni Bosco n. 7! Finalmente una casa luminosa, era ora. C’era però una cosa strana, i vicini che mi osservavano mantenendo sempre una certa distanza, evitando di incrociare gli sguardi. Il mistero si risolse qualche tempo dopo, quando mi fu confessato che la persona che abitava in quella casa prima di me si era suicidata qualche anno prima, proprio in quell’appartamento, che da allora era rimasto vuoto.
Anche a Treviglio cercai una sistemazione permanente, e comprai un appartamento in un palazzo in costruzione, in centro. Ero diventato ormai un esperto di appartamenti, quindi cercai un appartamento che non fosse troppo in basso, per avere abbastanza sole, che non fosse all’ultimo piano, in modo da essere sufficientemente caldo, che non fosse in una via centrale, in modo da non subire i rumori del traffico. Arrivai così in Via Filzi 4, al terzo piano, dove sono rimasto fino al mio espatrio, a settembre 2008.
Cercare casa a Horgen è stato completamente diverso: qui non si sceglie la casa dove si vuole abitare, ci si candida, dopo aver fornito copia della busta paga, lettera di referenze (nel mio caso, solo quella del datore di lavoro) si comincia a pregare che il padrone di casa (spesso una banca o una compagnia di assicurazioni) ti accetti. Fui scartato ben 2 volte (i proprietari? Una banca e una compagnia di assicurazioni), prima di essere accettato nell’appartamento di Einsiedlerstrasse 174, dove vivo tuttora. Firmai il contratto senza troppo pensare: avevo fretta di liberare l’appartamento di Treviglio, che volevo affittare. All’inizio, di questa casa vedevo solo i difetti: cucina e bagno microscopici, impianto di riscaldamento vecchio, balcone e giardino d’inverno in comune con gli altri due inquilini, ma presto ne ho scoperto i pregi: luminosissimo, ben isolato termicamente, impianto di riscaldamento efficiente, vicinissimo alla stazione… Tanto che non mi sono più mosso di qui.
Ho ripercorso le case dove ho vissuto perché, arrivato alla soglia dei cinquant’anni, mi capita di chiedermi dove sia casa mia. I miei affetti sono sparsi nei luoghi in cui ho vissuto, e non solo, se considero le persone che si sono a loro volta trasferite. Non è una domanda facile da rispondere; se fino al 2019 avrei risposto, in maniera superficiale, con Cuma, ora non posso farlo più. Se poi penso alla parola “casa” in senso esteso, non solo come luogo natio, ma anche come Patria, io che da flegreo e napoletano sono diventato cittadino del mondo, pur mantenendo le mie radici sempre salde, profonde e robuste, io che di passaporti ne ho due, ho ancora più difficoltà a formulare una risposta sensata. Se invece penso a “casa” come il luogo dove mi sento protetto, al luogo dove la sera ho voglia di tornare, al luogo dove percepisco l’amore dei miei cari, ecco, in quel caso tutte le case dove ho vissuto sono, o sono state, casa mia. Estendendo questo concetto ai luoghi che ho visitato, quasi tutto il mondo è casa mia, dai viali di Bucarest all’East End londinese, dai mercati di Kumasi fino ai villaggi del Karamoja passando per le isole incontaminate della Guinea Bissau. Mia nonna diceva sempre: “Si sa dove si nasce ma non si sa dove si muore”, ed è proprio così. Eppure è probabile che, ovunque io muoia, anche quel posto sia stato casa mia.
E tu, lettore, che hai avuto la pazienza di seguirmi in questo viaggio a casa mia, cosa ne pensi delle mie conclusioni? Ma soprattutto, dov’è casa tua?
Le tue conclusioni sono totalmente condivisibili. Ma la risposta alla domanda, davvero, non saprei dartela. Tante case sono state la mia casa, e le/gli abitanti sono diventati parte della mia famiglia.
So di sicuro dove non ero a casa: è un luogo (uno solo, per fortuna) dove sono stata molto infelice.
Tra le tue tante case, avrei voluto venire a trovarti in quella di Nettuno, affascinata dal giallo, dalla ceramica e dall’odore del mare.
La gran parte di quelle ceramiche è qui a Horgen, e anche una cassettiera. Ti aspetto qua.
Spero presto!!!!
Mi è piaciuto il seguirti fino a Horgen.. io ho vissuto alcuni luoghi dove non posso considerarli, ancora oggi casa. Le tue conclusioni sono giuste purtroppo credo che non siano cosi per tutti.
Mi piace sempre leggerti, anche se finisco sempre col commuovermi in qualche punto…un po’ perchè sono diventata una vecchia signora con le lacrime in tasca, ma soprattutto perchè in quei punti sono troppo coinvolta.Per quanto mi riguarda è difficile risponderti; la casa in cui vivo adesso con Alessandro è dolorosa da sentire mia ed immagini la ragione; dopo 10 mesi dal trasloco nell’ultima stanza, fra le mie braccia è morto Renato. Però a lui piaceva tanto questa casa, l’aveva voluta fortemente e si era dannato per riuscire a completarla, ( come ricorderai era molto bravo in certi lavori manuali) riuscendoci quasi del tutto, per cui lo sento molto vicino qui. Nella precedente, che conosci, ci abbiamo vissuto dal 1989 al 2020; quasi tutta la vita di Alessandro, infatti ci siamo trasferiti lì che aveva pochi mesi. Devo dire che ci siamo stati bene e un punto a favore era la vicinanza col mare e con voi. Prima ancora, la mia prima casa da signora Piemontese fu tutta un’altra storia… dovemmo rifarla completamente, nel centro di Napoli, vicinissima al S.Carlo con un via-vai continuo di musicisti ed artisti vari che passavano da casa nostra a qualsiasi ora.Andando ancora un passo indietro, la casa di mamma e papà, col carico di ricordi legati all’infanzia, all’ adolescenza alla famiglia, quella delle origini. Condivido quindi in pieno le tue conclusioni, in ognuna delle mie case, anche quelle che non ho citato, essendoci stata magari solo un mese, in vacanza o in tournée, c’è rimasto qualcosa di me, abbastanza da farmela sentire mia.
Caro Maurizio
No place is like home….io ne ho 2…dove vivono i miei genitori e quella attuale dove vivo dal 2006 che è stata costruita da papà e mamma per poterci vivere tutti insieme …e che ora vede me e mio fratello al piano di sotto godere dei loro sacrifici…
Grazie di avere condiviso la tua esperienza di vita che è davvero appassionante ed a tratti simile all’odissea…
Viva la vita Maurizio
Bellissimo Mau, come sempre scrivi in modo chiaro e coinvolgente.. La mia casa? Non lo so più, ma certamente è dove siete voi…figli e nipotina.
Sarai un esperto di traslochi!
Complimenti per lo splendido racconto e per la tua capacità a trovare una soluzione per ogni cosa, io non sarei stata così flessibile.
Per quanto mi riguarda credo che la Casa non sia soltanto un luogo, ma una sensazione. Quando stai bene e ti senti al sicuro e protetto, da solo o con chi ami, sei a casa.
Caro Maurizio, il racconto da te fatto trasmette fiducia e amore e, per me, questo è dovuto alla presenza costante e all’affetto dei tuoi cari familiari. Tutte le tue parole mi sono entrate nel cuore e mi hanno commosso perché, dopo la perdita di Salvio, ogni posto dove vado e dove sono accolta con amore mi fa sentire a casa la stessa casa che ho condiviso per 41 anni con mio marito. Lucia
Lieber Maurizio,
ich gratuliere Dir, es ist ein echter Spiegel für alle Leser, dass wir uns irgendwo zu Hause fühlen können, aber wenn man nicht auf seinen Weg ist, weder Daheim zu Hause ist. Ich bin glücklich, dass ich Dich und mindestens eine von Deiner Wohnungen kennegelernt habe.
Seh rund um zu Hause, vielleicht findest Du noch 50 Lira/Franken verseckt im Sofa extra für Schokolade. 😉
Danke dir, Zoli. Liebe Gruesse
Ciao Maurizio, scusa se ti rispondo solo ora. Il tuo racconto mi ha coinvolto moltissimo, e leggendo mi emozionavo tantissimo, ricordando le tue prime case, in cui abbiamo condiviso con i parenti tanti bei momenti. E ora veniamo alla risposta che vuoi, devo dire che anche per me CASA è il luogo dove ora vivo l’amore che nutre la mia famiglia, però questa è la mia seconda casa, la prima in cui ho abitato è stata ugualmente importante, l’abbiamo comprata prima di sposarci, ed amata molto. Ma era CASA anche la casa in cui sono nata ed ho vissuto fino a quando sono andata via, la casa di mamma e papà, che resterà sempre nei miei ricordi più cari. Queste le case da me abitate nella vita, ma riconosco, come dici tu, che in ogni casa dove si passa anche poco tempo si può vivere con amore e portare via tanto, così in realtà io anche ho tanti ricordi di case abitate anche se per poco tempo, ma che comunque mi hanno donato qualcosa. Credo, come dici tu che ogni casa regali un po’ di amore a chi la abita. Un abbraccio forte forte. Loredana
Ciao Maurizio, mi è piaciuto leggerti e immaginarti prima bambino e poi adulto in tutte le tue case. E capisco perfettamente il bisogno (e il piacere) di stare soli e concedersi i propri spazi. Anche io ho avuto tante case che fotografo dentro e fuori e tengo in un file “Case” (titolo originalissimo) perché le fotografie mi aiutano a ricordare tutti i particolari dei posti in cui ho vissuto e mi riportano alla memoria momenti felici. Ho amato tanto tutte le case in cui ho vissuto e ho messo radici in tutte le città in cui queste case si trovavano. Adesso casa è qui a Midland.
Però non ho un posto del cuore in cui vorrei vivere per sempre, preferisco pensare a tutte le nuove case in cui abiterò e che il caso porterà a me con tutte le nuove esperienze che verranno.
Ho solo un po’ di nostalgia della casa in via Pandolfino a Massa che io e Riccardo abbiamo acquistato nel 2010, che possediamo ancora e che non abbiamo mai vissuto come avrebbe dovuto. E’ sempre stata la casa delle vacanze estive anche se a ben guardare è quella in cui ci sono gli oggetti, i ricordi di una vita e i mobili che non abbiamo mai traslocato in Svizzera o in US. È la casa più simile a me, quella in cui ho scelto ogni piccolo dettaglio. È piccolissima rispetto a quella che ho qui ma è amata ed è l’unica che sono sicura non venderò mai. Non ci torno dal 2019 e non vedo l’ora di riviverla un po’.
2 Dicembre, mi sveglio con un alba spettacolare. Qui, dove posso dire di essere a casa, alle Isole Canarie. Tazza ti te, gattino in braccio e leggo….. Quanto mi mancano le nostre cene a Zurigo. Una delle poche cose che mi mancano in realtà. Leggendoti mi sembra appunto di aver passato una bellissima serata chiacchierando con te. Grazie!
Ciao Maurizio! Bel racconto, ad un tempo malinconico e pieno di vita e di felicità. Una storia che testimonia, una volta di più, quanto non ti siano mai mancati, in un certo senso, lo spirito dell’avventura, la fiducia nel futuro, in se stessi e, tutto sommato, nell’ umanità. Mi è piaciuto, e condivido appieno, il passaggio su quanto sia fonte di grande sollievo potersi chiudere una porta alle spalle al termine di una giornata di lavoro, una gita od un viaggio anche assai gratificanti, o fosse anche un piacevole periodo trascorso con gli affetti più cari! È bello ed impagabile tuttavia condividere il proprio spazio più intimo con una persona speciale, e so che conosci bene anche questo. Ti aspetto presto da me, a vedere quella che da pochi mesi è la mia nuova casa.
Caro Maurizio, come sempre i tuoi racconti sono chiari e coinvolgenti; questo ha un sapore speciale perché io ho fatto parte di alcuni dei momenti speciali nelle tue prime case. Il ricordo per eccellenza è quello del dopo terremoto dell’80, una pagina indelebile della mia adolescenza!
La mia casa? È la mia famiglia, non sono mai stata affezionata ad un luogo, ho cambiato tante case nella mia vita, ma ho capito che la casa è il luogo dei miei affetti e non un luogo fisico. Grazie per il tuo viaggio nella memoria che mi ha deliziato!
La casa di Cuma, come dimenticarla. Praticamente “casa propria” anche per cugini, zii, nonni e nipoti. Lì da te ho trascorso i momenti più belli della mia infanzia e grazie a voi ho ricevuto parte delle mie radici in termini di ideali e senso della famiglia. Credo di aver visitato anche la casa di Treviglio ma non ne serbo un ricordo molto bello…probabilmente a causa del clima rigido e dei colori tipici del nord Italia d’inverno. Ritengo che “casa mia” sia dentro di me e nel cuore delle persone che mi amano. Un abbraccio forte.
[…] settimana fa ho pubblicato un articolo in cui raccontavo di tutte le case che ho abitato, accennando a ricordi per ciascuna di esse. L’articolo è stato molto letto e […]
Ho cercato questo post sulle case perché anche io sono stata abbastanza “vagabonda” e mi piaceva confrontarmi con te. Qual’e la Mia Casa? Non saprei, forse quella in cui decisi di andare a vivere da sola, quella per la quale ho comprato, orgogliosissima, la mia prima libreria, quella dove poter ritornare quando lavoravo in altre città, quella in cui, ad un certo punto della vita, ho aggiunto uno spazzolino in bagno, quella dove sono nati i ragazzi, quella che poi ho lasciato. Ma ritengo case tutte quelle in cui ho vissuto, anche le due stanze piene di sole di Palermo o il monolocale umidissimo di Ischia. Casa è dove “sento” la casa. E mi ritrovo nel riprendere possesso dei miei spazi chiudendo la porta allorché gli amici vanno via.
Grazie per queste riflessioni Mauri.
[…] sono stati molto commentati, tanto da innescare un vero e proprio confronto. Ne cito due per tutti: Viaggio in tutte le mie case e Come si fa a ottenere il passaporto a […]