Ci sono periodi della Storia d’Italia che restano oscuri, alla maggior parte di noi, perché a scuola non si studiano o se ne parla poco; uno di questi è il colonialismo italiano. Per documentarmi su questo argomento, in particolare sul colonialismo in Etiopia, ho letto anni fa il saggio del Prof. Nicola Labanca, “La guerra d’Etiopia”, pubblicato qualche anno fa dalla casa editrice Il Mulino. Ho scoperto così che l’aggressione fascista all’Etiopia nell’ottobre del 1935, rappresentò un vero e proprio sfregio alla Lega delle nazioni e all’ordinamento pacifico della comunità internazionale. Fu l’ultima guerra coloniale in un periodo in cui si sviluppava il nazionalismo delle colonie, che avrebbe portato, pochi decenni dopo, alla decolonizzazione. Fu una guerra in cui per la prima volta si fece uso di gas tossici, in barba al protocollo di Ginevra che l’Italia fascista aveva firmato nel 1925. Fu, soprattutto, una guerra razzista. Se è vero che ogni colonialismo è stato sempre basato su una più o meno percettibile “linea di colore ” (da una parte gli europei civilizzati, dall’altra gli indigeni incivili), questa fu la prima conquista in cui si spingeva a una netta separazione dei due popoli, concetto che avrebbe trovato maggior fortuna nell’apartheid sudafricano. Già il regio decreto n° 880 del 1937, precedente alle leggi razziali che afflissero in particolar modo gli ebrei, sanzionava “i rapporti di indole coniugale tra cittadini e sudditi”. Tale decreto fu perfezionato nel 1940 con la legge 822, “Norme relative ai meticci”, in cui si legge, tra l’altro, che il meticcio non può essere riconosciuto dal genitore cittadino, che il suo mantenimento è a carico del solo genitore nativo, che sono vietate l’adozione e l’affiliazione di nativi e meticci da parte di cittadini. Il saggio del Prof. Labanca, ottimamente scritto e zeppo di informazioni, è comprensibile anche per chi, come me, non è uno studioso della storia.
Per chi si volesse avvicinare a questi temi in maniera più leggera, consiglio un romanzo pubblicato da Sellerio nel 2017, “I fantasmi dell’Impero”, scritto da 3 amici: Marco Cosentino, Domenico Dodaro e Luigi Panella; esperto di relazioni istituzionali il primo, avvocati gli altri due.
Siamo in Etiopia, nel 1937, e il magistrato militare Vincenzo Bernardi, viene inviato nella regione per indagare sulle azioni criminali, di un ufficiale, un certo Corvo. C’è stato, poco tempo prima, l’attentato al viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani (il 19 febbraio), a cui gli italiani hanno risposto con una rappresaglia violentissima. Alcuni eccessi hanno rinfocolato la resistenza etiope.
La bellezza di questo romanzo, che a tratti si legge con il ritmo di un giallo, sta nel fatto che tutti i fatti sono veri, anche se non tutti i personaggi lo sono. Se Vincenzo Bernardi non è realmente esistito, il suo personaggio è ispirato alla figura del capo della Giustizia Militare dell’Africa Orientale Italiana, Bernardo Olivieri, autore dell’inchiesta su Corvo. E’ esistito veramente il coprotagonista Vittorio Valeri, mentre altri personaggi, come Bruna Bindi, nel romanzo fidanzata di Valeri, nella realtà persona coeva ai fatti ma estranea a essi. E’ esistito il Generale Graziani, come tutti sappiamo, ed è esistito veramente un caso Corvo.
Si potrebbe definire questo libro come un resoconto verosimile di fatti veramente accaduti. La lettura di questo romanzo ci mette purtroppo davanti a una triste realtà: gli Italiani non sono, o almeno non sono stati sempre, brava gente.
Concludo questo articolo ricordando che, pochi giorni fa, in Etiopia si è svolta, come ogni anno, la “Giornata della memoria”, per ricordare la strage di Addis Abeba di quel tristissimo febbraio 1937.
Già pubblicato su Sconfinamenti, il 3 marzo 2021
Graziani verrà rimosso per incompetenza dal suo ruolo in
Etiopia nel dicembre del 1937, ma proseguirà la carriera
come governatore della Libia in guerra, fallendo l’invasione
dell’Egitto, poi aderirà alla Repubblica di Salò divenendone
il ministro delle Forze armate. A guerra finita riuscirà a
evitare i processi per i crimini di guerra in Africa; sconterà
qualche mese di reclusione per collaborazionismo coi
nazisti e prima della morte, avvenuta a Roma nel 1955, verrà
nominato presidente onorario del Movimento Sociale
Italiano. Nel 2012 il comune di Affile, nel Lazio, gli dedica un
sacrario, definendolo “un esempio per i giovani”.
Secondo le più recenti stime degli storici, nelle violenze
scaturite dai fatti del 19 febbraio persero la vita
complessivamente circa 19.000 persone. Vittime dei “nostri
nonni”, si direbbe. Questo è Yekatit 12 nella storia e nella
memoria etiope. Ma non in quella italiana. È una mancanza
che dovrebbe e potrebbe essere finalmente colmata, perché
una società civile matura dovrebbe avere la forza di
ricordare tutta la propria storia. Sia le parti che la vedono
vittima sia le parti che la vedono carnefice. Perché la storia
serve, tutta. (Francesco Filippi)
Il burattino voleva dominare il mondo ….
Ancora oggi mi vergogno da italiano che ha studiato la storia
[…] quelli dei Prof. Del Boca e Labanca) o anche di romanzi. Su alcuni di questi avevo già scritto un articolo. Le mie letture finora avevano un unico limite: tutti gli autori che leggevo erano italiani. Ha […]